Nel succitato articolo di Roberto Bracco viene poi detto che nel Giugno 1947 giunse in Italia ‘una commissione composta di pastori americani delegati dal Governo degli Stati Uniti e presieduta dal Dott. G. Pitt Beers, PER UNA INCHIESTA SULLA LIBERTA’ RELIGIOSA IN ITALIA. Avviene un incontro in un albergo di Roma con i vari pastori delle comunità evangeliche della capitale, in rappresentanza delle diverse denominazioni cristiane. Il fratello Bracco espone crudamente la posizione del Movimento Pentecostale, mettendo chiaramente in evidenza che nonostante le ripetute assicurazioni generiche e particolari, esso è fino ad oggi privo di quelle libertà promesse dal Governo. La dichiarazione suscita vivo interesse nei numerosi membri della Commissione e vengono da tutti presi riferimenti e note per una relazione. Andando in macchina apprendiamo che sono in elaborazione nuovi solleciti presso i competenti esponenti del Governo per una rapida regolarizzazione giuridica del nostro Movimento’ (Risveglio Pentecostale, Agosto 1947, pag. 13).
La pagina dell’articolo di Roberto Bracco ‘La libertà del Movimento Pentacostale in Italia’, dove parla della Commissione giunta in Italia nel 1947 (pag. 13)
George Pitt Beers (1883-1970), era il segretario esecutivo della American Baptist Home Mission Society (lo fu dal 1934 al 1953), appartenente all’allora Convenzione Battista del Nord che aveva forti legami con la Massoneria (si consideri per esempio che Clarence A. Barbour, che ne fu presidente dal 1916 al 1917 era un massone, come anche Mattison B. Jones che ne fu presidente nel 1931).
La stessa Baptist Home Mission Society fino al 1937 fu finanziata in maniera massiccia dal ‘massone’ John D. Rockefeller, Sr. Fino alla sua morte avvenuta nel 1937, viene detto infatti che Rockefeller donò alla ABHM circa 7 milioni di dollari!
Interessante poi notare che verso la fine del mese di Febbraio 1947, quindi pochi mesi prima che venisse in Italia, George Pitt Beers si era recato con dei missionari battisti a visitare il presidente americano Harry Truman (http://www.trumanlibrary.org/) che era un massone di alto grado. La delegazione Battista era guidata da Asa Leonard Allen (1891-1969), membro del Congresso, che era un massone, appartenente all’Eastern Star Lodge N° 151 di Winnfield (http://www.la-mason.com/famous.htm), massone del Rito Scozzese e uno Shriner. Questo Allen era diacono della First Baptist Church di Winnfield, dove per oltre 30 anni fu un insegnante della Scuola Domenicale.
Ma c’è dell’altro, e cioè che in quella commissione di cui dice Bracco che giunse in Italia nel giugno 1947 per una inchiesta sulla libertà religiosa in Italia, c’era un famoso massone, che era il vescovo metodista Fred Pierce Corson (1896-1985), che nel libro 10.000 famous freemasons viene detto che nel 1947 era gran cappellano della gran loggia della Pennsylvania. Una delle sue dichiarazioni più famose dice: ‘Good Masons make good churchmen’ (http://www.masonicinfo.com/quotes.htm). Era anche un esponente dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Corson nel 1961 sarà eletto Presidente del Consiglio Mondiale Metodista, e nel 1962 fu un osservatore al Concilio Vaticano II. Di lui viene detto che ebbe diverse volte delle udienze private con dei papi.
A conferma che Fred Corson era un massone, c’è un articolo del Reading Eagle del 11 Ottobre 1956 (vedi foto), in cui viene detto che il vescovo Metodista Fred Pierce Corson era un massone del 33° grado e che il 17 Novembre terrà un discorso in occasione di una importante riunione massonica. Corson, viene sempre detto, apparteneva alla Cumberland Star Lodge No. 197 degli Antichi ed Accettati Massoni, e nel 1950 era stato fatto membro onorario del Supremo Consiglio, ed ancora che era gran cappellano della Gran Loggia della Pennsylvania e un past gran prelato della Commanderia della Pennsylvania dei Cavalieri Templari.
A proposito poi della missione e della composizione della Commissione venuta nel giugno del 1947 in Italia, c’è da dire quanto segue. In base ad un articolo del Rochester Democrat and Chronicle del 15 Giugno 1947 (vedi foto), che evidentemente era molto informato, essa fece tappa a Roma due giorni durante un tour europeo (di 35 giorni) per conto del Dipartimento della Guerra degli USA per fare degli studi sui problemi delle forze armate americane di stanza in Germania e Austria, cosa questa che non si evince affatto dall’articolo di Bracco. Inoltre essa non era composta solo da pastori protestanti – come lascia intendere Bracco definendola: ‘una commissione composta di pastori americani delegati dal Governo degli Stati Uniti e presieduta dal Dott. G. Pitt Beers’ – ma anche da un prelato della Chiesa Cattolica Romana (James Henry Ambrose Griffiths, 1903-1964) e un rabbino ebreo (James G. Heller, 1892-1971).
L’articolo apparso sul Rochester Democrat and Chronicle del 15 Giugno 1947, che parla del tour di quella Commissione e della sua composizione
Arturo Carlo Jemolo, avvocato delle ADI, massone
Arturo Carlo Jemolo (1891-1981) è stato un illustre giurista e storico italiano che negli ultimi anni della sua vita fu anche consigliere politico molto ascoltato in Vaticano. Ecco in che maniera è entrato nella storia delle Assemblee di Dio in Italia. Il 12 Ottobre 1948, le ADI presentarono al Ministero dell’Interno la formale richiesta di riconoscimento giuridico dell’associazione come Ente di culto. Il 17 Gennaio del 1952, le ADI – vedendo che non arrivava nessuna risposta da parte del Ministero dell’Interno – notificarono al Ministero che trascorso un ulteriore termine di 90 giorni, il silenzio sarebbe stato interpretato come una risposta negativa. Il termine decorse e allora le ADI impugnarono il provvedimento e il 1 Giugno 1952 presentarono un ricorso al Consiglio di Stato contro il Ministero dell’Interno. Carmine Lamanna, pastore della chiesa ADI di Matera, afferma a tale riguardo: ‘Il Signore preparò la via, perché in difesa del movimento pentecostale si rivolsero al famoso giurista cattolico romano liberale dell’epoca, Arturo Carlo Iemolo che era un luminare in diritto ecclesiastico, assunse la nostra difesa, di fronte al Consiglio di stato’. Ecco alcuni stralci di questo ricorso:
‘…..Il silenzio può costituire una valida manifestazione della volontà della pubblica Amministrazione con la quale essa rifiuta di esercitare un potere che le è affidato, quando per l’esercizio di tale potere essa sia investita da una piena discrezionalità di valutazione, positiva o negativa. Ma quando invece la pubblica Amministrazione può per legge rifiutare di fare uso di un suo potere soltanto se ricorrono determinate condizioni negative che si oppongono all’esercizio del potere stesso, essa non ha la giuridica possibilità di emanare un provvedimento negativo se non dopo di avere accertato l’esistenza di quelle condizioni e se non rendendo conto dell’accertamento da essa compiuto. In questi casi il provvedimento della pubblica Amministrazione con il quale essa rifiuta di esercitare il proprio potere deve considerarsi illegittimo fino a che non sia dimostrato che sussistevano i presupposti in mancanza dei quali l’Amministrazione stessa è per legge tenuta a fare uso di quel potere. Questa è precisamente la situazione che si verifica nella specie, perché, per le ragioni sopra svolte, gli istituti dei culti ammessi hanno diritto ad ottenere il riconoscimento della personalità giuridica, sempre che non si verifichino determinate condizioni che ostino a tale riconoscimento. Onde il Ministero dell’Interno non poteva rigettare la domanda delle ‘Assemblee di Dio in Italia’, con il semplice silenzio mantenuto sulla domanda presentata al Ministero stesso, senza avere accertato che esistessero le condizioni che sole potevano giustificare il rigetto della domanda e senza dare espressamente atto delle risultanze di tali accertamenti …. Le giustificazioni date dalla pubblica Amministrazione degli innumerevoli arbitri da essa commessi, costituiscono soltanto lo schermo dietro il quale si nasconde la volontà dell’Amministrazione stessa di non osservare i precetti della legge e i principii fondamentali della nostra Costituzione e, se questa interpretazione dell’atteggiamento assunto dalla pubblica Amministrazione di fronte alla domanda della associazione ricorrente apparisse giustificata, – come dovrebbe apparire in base a quanto si è sopra esposto e dalla documentazione che sarà prodotta – non occorrerebbe aggiungere una sola parola per dimostrare il fondamento di questo motivo di ricorso, sotto il profilo della violazione di legge, nonché dell’eccesso di potere, nella forma dello sviamento. Viola la legge la pubblica amministrazione che non rispetta la libertà di religione dei cittadini e di chiunque, trovandosi nel territorio della Repubblica, ha diritto di godere di quel sommo bene che è la libertà. Incorre in eccesso di potere la pubblica amministrazione che, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, si lascia dominare dallo spirito di intolleranza religiosa, sia esso determinato da un’errata concezione dei diritti della maggioranza o da una cieca incomprensione delle altrui credenze o, peggio, da ragioni di calcolo politico. …..’ (Ricorso delle «Assemblee di Dio in Italia» contro il Ministero dell’Interno – Direzione Generale dei Culti, pag. 11-12, 15-16).
Il ricorso fu accettato il 25 Maggio 1954. Quel giorno, secondo le ADI, fu un giorno di vittoria in cui trionfò la giustizia di Dio. Umberto Gorietti scrisse su Risveglio Pentecostale: ‘La giustizia di Dio ha trionfato. Date all’Eterno gloria e forza, date all’Eterno la gloria dovuta al Suo nome, cantate la gloria del Suo nome, perché ha risposto al nostro grido mentre eravamo in distretta e l’Iddio della nostra giustizia ci ha messo a largo esaudendo la nostra preghiera …. Il nostro ricorso al Consiglio di Stato è stato accolto. L’Amministrazione dello Stato, dopo tanti anni di ostracismo, aveva negato il riconoscimento del nostro Movimento, malgrado avessimo corredato la nostra pratica di tutte le necessarie documentazioni. Iddio ci ha reso giustizia e il generale organo consultivo dell’amministrazione centrale dello Stato ha riconosciuto i nostri diritti. Sia resa lode al Signore che ha piegato o guidato i cuori nella dirittura’ (Risveglio Pentecostale, n° 6, Giugno 1954, pag. 1).
Va tuttavia fatto notare, che il professore Arturo Carlo Iemolo era un massone, infatti poche settimane prima che il ricorso fosse accettato, partecipò ad un Convegno nazionale massonico dove presiedette. Questo lo riporta l’autorevole storico della Massoneria Aldo Mola, che nel suo libro Storia della Massoneria Italiana, afferma: ‘Nello stesso anno ebbe luogo in Roma il primo Convegno nazionale massonico dei professori e docenti universitari (1-2 maggio), aperto da Giunio Bruto Crippa e Ugo Della Seta e presieduto da un Fr ∴ Prof. C., seguito l’indomani dal Fr ∴ Prof. J.: iniziali identiche a quelle di Guido Calogero e di Arturo Carlo Jemolo, che ebbero parte eminente nella rivista La Cultura, direttamente finanziata dal Grande Oriente d’Italia’ (pag. 711). ‘Fr∴’ messo prima di ‘Prof. J.’ porta a dire che Jemolo era massone, perchè si tratta dell’ «uso massonico di abbreviare la parola Fratello» (Roberto Fabiani, I Massoni in Italia, pag. 38), e difatti l’ex massone francese Maurice Caillet afferma nel suo libro ‘Sono stato massone’: ‘I politici erano ben circondati da quelli che chiamavamo i nostri «Fratelli tre punti», e il disegno di legge sull’aborto venne elaborato rapidamente’.
Oltre a ciò, il Grande Oriente si rivolse a Jemolo come avvocato per recuperare Palazzo Giustiniani. Dice a tale proposito lo storico Aldo Mola: ‘… vi fu anche la difesa degli interessi della Società Urbs (immobiliare del Grande Oriente) aspirante, nel secondo dopoguerra, a recuperare la proprietà di Palazzo Giustiniani: le tesi approntate da Arturo Carlo Jemolo ottennero moderata soddisfazione … ‘ (Aldo A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, pag. 332). In sostanza, era avvenuto che ‘il Demanio dello Stato, che durante il fascismo aveva espropriato senza indennizzo Palazzo Giustiniani, reclamò il possesso dell’edificio. Il Gran maestro Guido Laj si oppose alla restituzione dell’antica sede e la vertenza finì dinanzi al Tribunale Civile di Roma che, in primo grado, decretò ufficialmente il diritto del GOI al possesso del palazzo rinascimentale romano. In sede di appello, peraltro, la Corte condannò il Grande Oriente alla restituzione della sede occupata e al risarcimento allo Stato della somma di 140.000.000 di lire’ (fonte: Wikipedia). Ma la cosa non si fermò lì, perchè la battaglia andò avanti, perchè i dirigenti del GOI si rivolsero al loro fratello americano Franck Gigliotti, che era un pastore protestante massone che l’OSS aveva inviato in Italia a preparare lo sbarco in Sicilia per mezzo della mafia e della massoneria, che – come dice il giornalista Antonio Nicaso – in cambio dell’appoggio della Massoneria USA impose al GOI il riconoscimento di una loggia segreta siciliana: ‘Gigliotti aveva un tale peso da costringere la massoneria italiana – appena riemersa dopo le ostilità del fascismo – ad accogliere tra le proprie fila la loggia segreta del principe palermitano Alliata di Monreale in cambio della restituzione di Palazzo Giustiniani’ (in Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, pag. 525), restituzione che avvenne in quanto ‘gli americani iniziarono a operare pressioni affinchè la storica sede del Grande Oriente d’Italia, Palazzo Giustiniani, sequestrata dal regime fascista, fosse restituita alla massoneria. Il 7 luglio 1960, si svolse a Roma la cerimonia di riconsegna da parte del ministro delle Finanze Trabucchi, alla presenza dell’ambasciatore americano Zellerbach e di Gigliotti’ (in Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, pag. 525 – A metà anni ’80 però, dopo anni di battaglia, il Grande Oriente ha dovuto cambiare la sua sede andando alla Villa Medici del Vascello sul Gianicolo e lasciare il Palazzo al Senato – La Repubblica, 13 luglio 1985). A proposito poi del professore massone Ugo della Seta (1879-1958), che aveva aperto quel Convegno massonico, era ‘vicino all’ambiente evangelico’ in quanto aveva collaborato con il periodico evangelico Lumen de Lumine (cfr. Giorgio Spini, Italia Liberale e protestanti, pag. 318, 327).
Massimo Teodori (giornalista, politico, scrittore e storico, che come ha affermato lui stesso in un intervento ha ‘stabilito un rapporto chiaro ed aperto con la massoneria italiana e un’amicizia franca con il suo Gran Maestro’ ) nel suo articolo ‘Ma perché il Partito democratico si scalda tanto sulla massoneria?’ apparso sul Corriere della Sera il 7 Giugno 2010, afferma: ‘Ma qual è stato il rapporto della massoneria con le sinistre? I massoni vennero espulsi nel 1914 dal Partito socialista (e riammessi nel 1946), considerati filofascisti da Gramsci, condannati dalla Terza Internazionale di Stalin e poi messi al bando dal fascismo perché portavano con sé l’eredità liberale e democratica del migliore Risorgimento. Durante il ventennio l’antifascismo democratico fu intrecciato con una parte della massoneria in esilio: pochi ricordano massoni come i repubblicani Facchinetti e Pacciardi (ministri della Difesa), Carlo Sforza (ministro Esteri), i liberali come il ministro del Tesoro Soleri, i socialisti, giellisti e radicali Ugo Lenzi e Umberto Cipollone [1] (gran maestri), Francesco Fausto Nitti (amico di Turati), gli intellettuali Calogero e Jemolo che fiancheggiarono con la rivista La Cultura’. Anche qui Jemolo viene messo tra i massoni.
Da: archiviostorico.corriere.it/2010/giugno/07/perche_Partito_democratico_scalda_tanto_co_9_100607030.shtml
[1] Umberto Cipollone apparteneva al ‘mondo protestante’ (Fulvio Conti, La massoneria a Firenze. Dall’età dei Lumi al secondo Novecento, Bologna 2007, pag. 446) ed era un massone del 33° (cfr. Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, pag. 520-521).
Leopoldo Piccardi, avvocato delle ADI, massone
Nel libro scritto da Francesco Toppi E mi sarete testimoni, troviamo scritto che quando le ADI fecero ricorso al Consiglio di Stato per ottenere il riconoscimento giuridico, si rivolsero oltre che al giurista Arturo Carlo Jemolo, anche all’avvocato Leopoldo Piccardi (1899-1974). Ecco cosa si legge: ‘Nel 1948 [Umberto Gorietti] presentò domanda di riconoscimento della personalità giuridica delle Assemblee di Dio in Italia. Dinnanzi al rifiuto della pubblica amministrazione di accettare la domanda di riconoscimento il 1 giugno 1952 egli presentò regolare ricorso al Consiglio di Stato contro il Ministero dell’interno, Direzione Generale dei Culti, in persona del ministro On. Avv. Mario Scelba. Le ADI erano difese dagli eminenti giuristi Avv. Prof. Carlo Arturo Jemolo, Avv. Leopoldo Piccardi e dal legale dell’Ente, Avv. Giacomo Rosapepe’ (Francesco Toppi, E Mi Sarete Testimoni, ADI-Media, Roma 1999, pag. 81). Quando poi naturalmente il ricorso fu accettato ci furono pubblici ringraziamenti verso questi avvocati, dalle pagine di Risveglio Pentecostale: ‘La nostra riconoscenza vada anche allo stimatissimo prof. C.A. Jemolo, all’illustre Avv. L. Piccardi che hanno difeso i nostri diritti alla pubblica sessione con competenza professionale e con fede’ (citato da Francesco Toppi in op. cit., pag. 103). Ora, vediamo chi fu Leopoldo Piccardi. Fu un politico italiano, un consigliere di Stato (nominato tale nel 1934), ed esponente del Partito Radicale e come tale si battè per l’introduzione del divorzio in Italia. Fu ministro dell’Industria e del Commercio nel I Governo Badoglio (per alcuni mesi nel 1943). A metà degli anni ’50 divenne segretario del Partito Radicale assieme a Francesco Libonati e Adriano Olivetti. Il 6 novembre 1960 fu eletto consigliere comunale a Roma. Nel 1961 lo storico Renzo De Felice, nel corso delle sue ricerche sul razzismo in Italia, scoprì che Piccardi, in qualità di consigliere di stato, aveva partecipato nel 1938 e 1939 a due convegni giuridici italo-tedeschi sul tema ‘Razza e diritto’, destinati a gettare le basi delle leggi razziali. Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) che vennero varati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana, rivolti prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Ciò creò gravi dissensi all’interno del partito, e una parte del partito condannò Piccardi e ne chiese le dimissioni dal Partito, che vennero date nel 1962.
In base a quanto dice Gianfranco Spadaccia [1] in un articolo dal titolo ‘Ernesto Rossi, un radicale’ presente sul sito di ‘Radicali Italiani’, Leopoldo Piccardi era massone. Infatti a proposito del ‘caso Piccardi’, afferma:
‘Qualche mese dopo il secondo congresso, nel 1962, esplosero in maniera traumatica la rottura del forte sodalizio che aveva unito per oltre dieci anni Ernesto Rossi a Mario Pannunzio e la scissione del gruppo degli amici del Mondo (oltre a Pannunzio, Niccolò Carandini, Mario Paggi, Leone Cattani, Franco Libonati) dal Partito Radicale ma molti altri (fra questi Eugenio Scalfari, Leo Valiani, Giovanni Ferrara) presto li seguirono ritenendo che, senza Il Mondo e senza Pannunzio, la prosecuzione del Partito Radicale non avesse senso. A provocarle fu il “caso Piccardi”. Nelle sue ricerche sul razzismo in Italia Renzo De Felice scoprì gli atti di due convegno giuridici italo-tedeschi svoltisi uno in Italia e uno in Germania e destinati a preparare le basi delle leggi razziali. Al convegni avevano partecipato numerosi giuristi italiani e Leopoldo Piccardi, nella sua qualità di consigliere di stato, ne era stato tra i principali relatori. Lo scandalo fu grande perchè Piccardi era una personalità democratica di grande rilievo: massone, ministro nel primo governo Badoglio [N.D.E. il generale Pietro Badoglio era massone], aveva partecipato alla Guerra di Liberazione come ufficiale del Corpo dei volontari della Libertà e fatto parte di uno dei partiti del CLN, la Democrazia del Lavoro di Meuccio Ruini. Arrivato ai vertici della carriera amministrativa come presidente di sezione del Consiglio di Stato, era divenuto un avvocato di successo ed aveva condiviso con Pannunzio la leadership effettiva del Partito Radicale, dal 1955 al 1962. Aveva assunto una grande notorietà nel 1960 nel mondo politico e nella stessa sinistra italiana come animatore e presidente dei comitati unitari che guidarono nel paese il movimento contro il governo Tambroni. Il “caso Piccardi” poteva essere l’occasione di un dibattito molto serio sulle responsabilità degli intellettuali italiani e dell’intera classe dirigente che convisse con il fascismo di fronte a un atto così grave come l’allineamento di Mussolini alle politica antisemita di Hitler.In realtà fu solo l’occasione di una battaglia politica in cui la sinistra difese Piccardi come uno dei suoi esponenti mentre gli avversari del centrosinistra attaccavano in lui non tanto il relatore al convegno giuridico sulle leggi razziali quanto il fautore delle nuove alleanze politiche con i socialisti. Anche nel Partito Radicale dopo la giustificata e scandalizzata sorpresa per le rivelazioni di De Felice, nella condanna di Leopoldo Piccardi da parte di Pannunzio e del gruppo del Mondo non fu estranea la preoccupazione per la crescita nel partito da una parte delle posizioni che facevano capo alla sinistra radicale e dall’altra delle posizioni filo-socialiste. Nelle ultime amministrative prima della scissione i radicali si erano presentati quasi ovunque nelle liste del PSI, ed era un lento scivolamento non visto di buon occhio da Pannunzio e a cui anche la sinistra radicale sia pure per diverse ragioni si opponeva. In queste lotte interne sul “caso Piccardi”, Ernesto Rossi che si era trovato a collaborare con lui quotidianamente per anni soprattutto nella preparazione dei convegni degli Amici del Mondo, prese subito posizione a favore dell’amico: un uomo non poteva essere giudicato solo per un episodio per quanto grave della sua vita e il Piccardi che lui aveva conosciuto non era certamente il Piccardi che aveva partecipato a quei convegni italo-tedeschi e che vi aveva tenuto delle relazioni. La rottura fu inevitabile e Piccardi si avvalse della solidarietà dell’antifascista Ernesto Rossi a cui si aggiunse quella di Ferruccio Parri’ (http://old.radicali.it/ – il grassetto è mio).
[1] Gianfranco Spadaccia, è stato tra i fondatori del Partito Radicale nel 1955, ed è stato segretario del Partito Radicale nel 1967, nel 1968, nel 1974, e 75,76, nonchè Senatore radicale dal 1979 al 1983. Deputato dall’83 all’86. Senatore dall’87 al 90. Quindi è qualcuno che conosce bene la realtà del Partito Radicale, di cui peraltro Leopoldo Piccardi ha fatto parte per alcuni anni.
Un’ultima cosa, ma non meno importante, Leopoldo Piccardi al tempo in cui le ADI presentarono ricorso al Consiglio di Stato era anche Presidente Onorario del Consiglio di Stato. Così infatti viene definito su The Pentecostal Evangel del 31 Agosto 1952 (pag. 12 – vedi foto). Cosa questa confermata nel libro Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia in cui viene detto che nel mese di Febbraio del 1946 ‘gli fu conferito il titolo onorifico di presidente di sezione del Consiglio di Stato’ e poi viene definito ‘Presidente onorario della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato’ (Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia, a cura di Guido Melis, Giuffrè Editore, Milano 2006, Tomo 2, pag. 1597, 1608).
La pagina del Pentecostal Evangel dove viene detto che Leopoldo Piccardi era il Presidente Onorario del Consiglio di Stato. Nell’articolo si parla di un incontro – a cui parteciparono Umberto Gorietti e Anthony Piraino per le Assemblee di Dio in Italia – tenutosi il 30 Marzo 1952 (quindi pochi mesi prima della presentazione del ricorso ADI al Consiglio di Stato) a Roma organizzato dal gruppo culturale ‘La Consulta’ il cui obbiettivo primario era la difesa dei diritti delle minoranze, e tra gli oratori oltre al Piccardi ci fu anche Arturo Carlo Jemolo l’altro avvocato delle ADI di cui abbiam parlato prima. Il ricorso delle ADI sarà poi accettato nel Maggio 1954.
Luigi Preti, deputato massone, referente politico e portavoce delle istanze delle ADI al Parlamento
Abbiamo già parlato del socialista Luigi Preti (1914-2009), in occasione della scissione del Partito Socialista del gennaio 1947 quando come abbiamo visto fu tra coloro che seguirono Saragat nella scissione (provocata dalla Massoneria) e nella consequenziale nascita del PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), che poi diventerà PSDI; e in occasione delle discussioni sull’articolo 19 – che assicura la libertà religiosa alle minoranze religiose – dell’Assemblea Costituente quando lui intervenne in una seduta del Marzo 1947 e in quell’intervento parlò a favore dei Pentecostali (parole che sinceramente parevano dettate da Frank Gigliotti!).
Luigi Preti, lo ripetiamo, era un massone. Nel libro I Massoni in Italia infatti leggiamo: ‘Anche a piazza del Gesù, come in tutte le massonerie del mondo, esisteva una loggia coperta, destinata a riunire i fratelli più in vista. Si chiamava Giustizia e Libertà [….]. Da qualche anno la Giustizia e Libertà era stata affidata a Giorgio Ciarrocca, direttore centrale della Rai, libero docente all’università di Roma. In quel forziere Ciarrocca aveva concentrato un materiale di primissima scelta. Franziskus König, arcivescovo di Vienna e cardinale, tra i prelati. Tra i politici: Giacinto Bosco, Marcello Simonacci, Eugenio Gatto, democristiani; Luigi Preti, socialdemocratico e perfino il dirigente comunista, speranza del partito, Gianni Cervetti.’ (Roberto Fabiani, I Massoni in Italia, pag. 130-131).
Luigi Preti, dopo il 1947 continuò a perorare la causa delle ADI nel tempo, infatti il 28 ottobre 1952 (quindi alcuni mesi dopo che le ADI avevano presentato il loro ricorso al Consiglio di Stato contro il Ministero dell’Interno) in un suo intervento al Parlamento perorò anche lì la causa delle ADI.
Inquadriamo la circostanza in cui Luigi Preti parlò. ‘Nei giorni 28 e 29 ottobre 1952 si svolge in Assemblea la discussione sullo stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno per l’esercizio finanziario 1952-1953 (C. n. 2965). Nella seduta pomeridiana del 28 ottobre Preti affronta in particolare la questione delle minoranze religiose, sottolineando la necessità di abolire le remore frapposte dal regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289 («Norme per l’attuazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato» ) all’esercizio dei culti non cattolici, in armonia col principio costituzionale della libertà di religione. Il provvedimento diverrà la legge 31 ottobre 1952, n. 1332.’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, a cura di Angelo G. Sabatini, Roma 2010, pag. 283).
Ecco le parole di Preti:
‘Le vicende della confessione pentecostale costituiscono il caso più noto di persecuzione religiosa. Nel 1931, la Chiesa pentecostale chiedeva e otteneva di essere «ammessa nel regno», ma successivamente una circolare del 1935 dava istruzioni ai prefetti, perché i gruppi pentecostali venissero sciolti e perché non fosse più ammesso il culto, considerato contrario all’ordine sociale e addirittura «nocivo all’integrità psichica e fisica della razza».
Ebbene, anche facendo riferimento alle disposizioni legislative fasciste, un culto si poteva proibire solamente per motivi di ordine pubblico e non per motivi di ordine sociale! Addirittura paradossale era poi la motivazione della integrità psichica e fisica della razza. Si diceva comunque che il culto pentecostale avrebbe costituito un pericolo in ragione della esaltazione che si impadronirebbe dei fedeli nella preghiera, quando essi attendono nei loro cuori la discesa dello Spirito Santo! Io non sono pentecostale, e non so quanto si esaltino questi fedeli, ma modestamente credo che anche i più fanatici non si esaltino più di certe donnette, quando assistono al miracolo di San Gennaro. (Commenti al centro e a destra). Non credo insomma che i pentecostali arrivino ad esaltarsi più di quanto non facciano i buoni cattolici in certi luoghi sacri e santuari celebri del cattolicesimo. Direi anzi che essi sono assai più composti e sereni, conoscendo il loro carattere.
Il motivo di questa proibizione è per altro evidente. La realtà è che i «pentecostali», a differenza di certe comunità protestanti, che tendono a vivere di «rendita», svolgevano, come svolgono, attivissima propaganda, non senza successo, specialmente tra i contadini meridionali.
Dopo la liberazione, con l’amministrazione degli alleati, i templi pentecostali vennero riaperti. Ma poi, quando il Governo italiano riprese l’esercizio delle sovranità, i divieti nuovamente fioccarono per i «pentecostali», e si ebbero chiusure di templi e numerosissimi arresti.
Ricordo di essermi occupato dei «pentecostali» nel 1947. Si diceva allora che il Governo, prima di decidere la reintegrazione dei «pentecostali», attendeva le notizie dal nostro ambasciatore negli Stati Uniti d’America, luogo d’origine di questa setta. Tarchiani attestò la serietà di questi pentecostali, che sono una rispettabilissima corrente religiosa. Ma, non ostante questo, la persecuzione è continuata.
È stato approvato l’articolo 19 della Costituzione; e pertanto, se prima era illegittima la pretesa di proibire il culto pentecostale, in seguito essa è divenuta addirittura anticostituzionale. Eppure, anche dopo l’approvazione della Costituzione si è continuato a proibire il culto pentecostale.
Nel settembre del 1949, il Ministero dell’interno confermava che il culto pentecostale non era ammesso in Italia, evidentemente perché danneggiava ancora la… integrità fisica e psichica della razza. Disponeva comunque il Ministero che, se dovevano ritenersi vietate le riunioni pubbliche, potevano però ammettersi le riunioni private, riconoscendo che proibire anche il culto privato avrebbe significato violare la Costituzione. Ma a che cosa serve, nel caso, ammettere le riunioni private, quando non si ammettono riunioni pubbliche?
Non dobbiamo dimenticare infatti il comma secondo dell’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, che così recita: «È considerata pubblica anche una riunione che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia, per il luogo in cui sarà tenuta, per il numero delle persone che intervengono o per lo scopo o per l’oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata». Con questo strano articolo, che può far diventare pubblica a giudizio del questore, ogni riunione privata, è facile far passare per pubbliche tutte le riunioni dei pentecostali che, per il fatto stesso di essere riunioni religiose, sono abbastanza numerose, e in realtà sono sempre private per modo di dire. Così i pentecostali hanno continuato a subire le angherie della polizia: sono continuate le persecuzioni e le proibizioni.
Citerò, per tutti, un caso assai significativo. Mi basta leggere una lettera dei fratelli pentecostali di Ferrazzano, paese del Molise, che dice: «Cari fratelli, vogliamo farvi sapere quello che è avvenuto il 15 giugno, perché preghiate per noi affinché il Signore convinca i nostri persecutori a desistere dai loro peccati e a lasciarci in pace ad adorare il nostro Signore e a predicare il suo nome benedetto. Il 15 giugno, mentre eravamo radunati per svolgere un servizio di culto, irruppero nei locali del culto degli agenti comandati da un commissario. Essi ci sequestrarono le bibbie e i libretti dei cantici e ci arrestarono tutti. Eravamo 34 fedeli, 11 fratelli e 23 sorelle. Ci caricarono su un camion e ci portarono al carcere minacciandoci con parole di ira. Ci trattennero in prigione per circa 24 ore. Mentre eravamo in carcere non abbiamo cessato di cantare e di pregare. Fratelli, pregate per noi». Non faccio commenti!
Un altro episodio che fa stupire, è quello avvenuto il 13 marzo 1952, quando il presidente di questi pentecostali signor Gorietti, si recò a Latina per faccende del suo culto. Ebbene, egli venne arrestato dagli agenti di pubblica sicurezza e trasferito immediatamente a Roma con foglio di via obbligatorio. Santo Dio, come se si fosse trattato di un malvivente o di una donna di malaffare!
I «pentecostali», a norma della legge del 1929, hanno chiesto l’erezione in ente morale della loro comunità: il che è cosa assolutamente diversa dal riconoscimento del culto, cioè dalla ammissione del culto nel nostro paese.
Evidentemente però essi hanno chiesto il riconoscimento giuridico della loro comunità come ente morale, nella speranza che il Ministero dell’interno approfittasse della circostanza, per riesaminare la loro posizione. Ebbene, il Ministero dell’interno non ha risposto che col silenzio amministrativo, documentando quindi la sua volontà di lasciare le cose come stanno.
Adesso i «pentecostali» hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, e il loro avvocato è il professore Jemolo, che mi sembra cattolico praticante, ed è comunque persona largamente stimata nel paese. Se egli ha assunto questa difesa, l’ha fatto anche in omaggio alla buona causa di questi perseguitati’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, pag. 286-288).
Avete notato come era ben informato Luigi Preti sulle cose che concernevano le ADI? Mi pare dunque evidente che egli fosse il referente politico al Parlamento per le ADI. Cosa questa confermata indirettamente da quello che ha scritto Francesco Toppi, ex presidente delle ADI, sul numero 15-16 del 1990 della rivista Cristiani Oggi, quando traccia una biografia di Carmelo Crisafulli (http://www.naiot.it/biografie/CrisafulliCarmelo.htm):
‘Carmelo Crisafulli è stato tra i sostenitori più decisi della necessità di ottenere a qualunque costo la libertà di esercitare liberamente il culto evangelico pentecostale. Infatti, fu dapprima favorevole nel 1946 alla necessità di una struttura nazionale e fu uno dei cinque membri eletti nel Comitato Missionario Ricostruzione e Beneficenza per le chiese della Sicilia. Nel 1947, assunse un ruolo preminente nella costituzione delle “Assemblee di Dio in Italia”, riconoscendo che per “regolarizzare la propria posizione giuridica” questo era “l’unico mezzo … a disposizione del Movimento …” (Raccolta degli Atti delle Assemblee Generali, ADI, Roma, 1970, pag. 17). Le difficoltà apparentemente superate permisero la riapertura del locale di culto di Messina, come anche quelli di altre località, ma nonostante la richiesta ufficiale di riconoscimento delle Assemblee di Dio in Italia, si attese invano per anni l’abrogazione di quella iniqua circolare che si realizzerà soltanto nel 1955, dopo un lungo “braccio di ferro” tra le ADI e il Ministero dell’Interno. Così, ciclicamente, secondo le insistenze reiterate del clero locale, si manifestarono recrudescenze, intimidazioni, diffide e chiusure di locali di culto. Anche Carmelo Crisafulli e la Comunità di Messina furono di nuovo diffidati e minacciati. Si seguirono tutte le strade. Crisafulli si era fidato di un legale che notoriamente non faceva gli interessi della comunità e fu possibile liberarsene soltanto per il fraterno e tempestivo interessamento del prof. Giorgio Spini, allora residente a Messina. Il caso giunse in Parlamento con una interrogazione dell’On. Luigi Preti. Riportiamo per intero la lettera di risposta del Capo Gabinetto dell’allora Ministro dell’Interno.
Ministero dell’Interno – Gabinetto del Ministro. Roma, 10 febbraio 1953
All’On. avv. prof. Luigi Preti – Camera dei Deputati – Roma – Prot. n. 666/2600.
Oggetto: Interrogazione (n. 10248).
Urgentissima-raccomandata a mano.
La S.V. On/le ha presentato la seguente interrogazione, con richiesta di risposta scritta:
“Al ministro dell’interno, per sapere se non ritenga illegittimo il comportamento dei funzionari della questura di Messina, i quali hanno ripetutamente diffidato e minacciato l’operaio Carmelo Crisafulli, anziano della Chiesa pentecostale di Messina, per farlo desistere dal tenere riunioni religiose, e per sapere se non ritenga doveroso far cessare immediatamente questa forma persecutoria”.
Si risponde:
L’esercizio del cosiddetto culto pentecostale non è ammesso in Italia, per la particolarità dei riti, i quali si sono dimostrati nocivi alla salute psichica e fisica degli adempti. Pertanto è da ritenersi legittima la diffida confermata dalla Questura di Messina nei riguardi del sig. Crisafulli Carmelo per l’astensione da qualsiasi attività ed in qualsiasi forma, in materia del predetto culto.
p. il Ministro F.to Bubbio
Luigi Preti presentò per conto delle ADI un’altra interrogazione al Ministro Scelba, precisamente il 2 Dicembre 1953, e questa volta a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione del 30 novembre 1953 che rilevò l’illegalità della circolare Buffarini-Guidi, ma il Ministro questa volta non rispose (Eugenio Stretti, Il Movimento Pentecostale, pag. 57); evidentemente perchè si trovava in grande difficoltà a rispondere, visto il rilievo della Cassazione.
Peraltro, bisogna aggiungere anche che Luigi Preti promosse con forza sin dagli anni 50 al Parlamento le intese tra lo Stato e le Confessioni religiose non cattoliche. Ecco infatti cosa disse in un suo intervento del 13 ottobre 1953 (in cui peraltro difese di nuovo i Pentecostali). Prima però di presentarvelo, ecco una breve ma indispensabile premessa: ‘Preti interviene nella discussione sui bilanci del Ministero di grazia e giustizia e del Ministero dell’interno per l’esercizio finanziario 1953-1954 (C. n. 73; C. n. 76). Rivolgendosi ad Amintore Fanfani, Ministro dell’interno nel I Governo Pella, Preti esorta il Governo ad attuare l’articolo 8 della Costituzione, che mira a regolamentare per legge i rapporti dello Stato con le confessioni religiose non cattoliche sulla base di intese con le relative rappresentanze. Il parlamentare ricorda episodi di vessazione nei confronti dei protestanti e, in particolare, una circolare del 19 maggio 1953 del Ministero dell’interno, diretta alla Tavola valdese, in cui viene negata alle confessioni religiose diverse dalla cattolica l’applicabilità dell’articolo 17 della Costituzione alle riunioni religiose, e in cui si sostiene la non precettività dell’articolo 19 della Costituzione medesima, relativo al diritto di professare liberamente la propria fede religiosa’.
Preti. L’articolo 8 della Costituzione dice che i rapporti delle confessioni religiose non cattoliche con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. È un articolo, onorevole Fanfani, che abbiamo insieme approvato nel 1947! Sono passati sei anni e ancora questa materia non è stata disciplinata per legge. È avvenuto per questa questione un po’ quel che si è verificato per la questione della regione: la si è sempre rinviata. Ma, mentre io posso comprendere i motivi per cui si è rinviata la regolamentazione legislativa del problema della regione (e il motivo è semplicissimo: alla Costituente si è fatta una topica e adesso si cerca di ripararla attraverso la desuetudine costituzionale), non vedo invece il motivo per cui non si debba riconoscere per legge questi rapporti delle confessioni religiose non cattoliche con lo Stato. Qui ci troviamo di fronte al Governo il quale dice ai protestanti (non parlo dei rapporti fra lo Stato e le comunità israelitiche che sono soddisfacenti): fate delle proposte specifiche, poi noi le esamineremo e quindi presenteremo il disegno di legge. Dall’altro lato i protestanti dicono: siccome l’articolo 8 della Costituzione parla di intese, noi vogliamo fare una specie di accordo, stabilito il quale si presenterà il disegno di legge al Parlamento. Questo disegno dovrebbe interpretare la comune volontà del Governo e delle confessioni evangeliche.
Io non voglio dire se abbia ragione il Governo o se abbiano ragione i protestanti. Come in molte cose la ragione sta forse a metà. Il Governo fino ad ora ha dimostrato una eccessiva suscettibilità, nel timore che le intese con le confessioni religiose non cattoliche fossero interpretate alla stregua di concordato; il che avrebbe potuto forse dar ombra alla Chiesa cattolica, timorosa che taluno pensi di poterla mettere sullo stesso piano delle altre confessioni religiose, le quali in Italia non hanno che alcune decine di migliaia di aderenti. Forse i protestanti sono stati eccessivamente timorosi, nel senso che non hanno avuto sufficiente fiducia nel Parlamento. Io credo infatti, che se il Governo avesse presentato un disegno di legge non soddisfacente (il che non era affatto impossibile), il Parlamento avrebbe finito col correggere il testo, dando alle confessioni religiose non cattoliche una legge soddisfacente sotto tutti i punti di vista.
Io ricordo di aver parlato in passato anche a tu per tu con coloro che reggevano il Ministero dell’interno e con coloro che li coadiuvano in sottordine, ed ho avuto l’impressione che non si avesse molta volontà di concludere su questa questione. Siccome l’attuale ministro Fanfani è un uomo dinamico e capace di risolvere molti problemi (e del resto non voglio fargli dei complimenti, perché gliene ha fatti già molti l’onorevole Cucco), vorrei sperare che egli volesse risolvere anche questo non difficile problema.
Se questa situazione di incertezza non generasse inconvenienti, potrei anche capire il rinvio, essendo io convinto che qualche volta l’assenza di leggi non è affatto inopportuna, come dimostra la prassi costituzionale e legislativa britannica. Ma purtroppo la mancanza di disposizioni legislative chiare ha potuto dar vita, negli anni del dopoguerra, a parecchie odiose vessazioni nei confronti degli evangelici. E non parlo di persecuzioni, per non drammatizzare i fatti.
Gli evangelici hanno scritto parecchi memoriali, come l’onorevole Fanfani certo saprà: l’ultimo, intitolato «Intolleranza religiosa in Italia nell’ultimo quinquennio», elenca a decine i casi di vessazione da parte di questori, commissari di pubblica sicurezza, ecc.. Si dirà che si tratta di piccole cose che riguardano poche persone; ma per chi guarda al principio delle libertà la quantità importa poco.
Per questi fatti, ci stiamo screditando all’estero, e specialmente nell’America del nord, che è in maggioranza protestante. Io non sono mai riuscito a capire la ragione della fobia dell’onorevole Scelba, persona indubbiamente dotata di senso democratico, per i protestanti. Egli era certamente convinto della impossibilità dei protestanti di insidiare il predominio religioso dei cattolici in Italia. Una tale insidia può essere insita, semmai, nel comunismo – che è pur esso una religione – e non certo negli evangelici che non hanno molti mezzi e che non fanno leva su certi sentimenti che trascinano le masse.
Non voglio ripetere le cose che, purtroppo inutilmente, ho detto l’anno scorso. In questa sede voglio limitarmi a leggere una lettera abbastanza recente del Ministero dell’interno, lettera che in nessun modo noi, come uomini credenti della libertà, potremmo approvare. È una lettera del 19 maggio 1953, diretta alla Tavola valdese, che si era lamentata di alcune persecuzioni a danno di evangelici della scuola valdese.
La lettera testualmente reca: «Con riferimento agli esposti in data 2 marzo e 16 marzo di codesta Tavola, si comunica che dagli accertamenti disposti è risultato che le riunioni di culto nei comuni di Ferentino e di Anagni» (dove dei protestanti erano stati anche un po’ maltrattati dalla popolazione locale) «sebbene tenute in casa privata, avevano luogo con carattere di pubblicità, per cui questo Ministero ha ritenuto e ritiene che l’articolo 17 della Costituzione non sia applicabile alle riunioni di culto in luogo aperto al pubblico. D’altra parte, anche l’articolo 19 della Costituzione medesima è stato dichiarato non precettivo da una sentenza in data 12 ottobre dalla Corte di cassazione. Per il ministro, firmato: Tartanona».
Io ritengo che le due affermazioni fatte in questa lettera, che è firmata da persona autorizzata dal ministero, e che ha un indubbio carattere di ufficialità, erano gravi e non possano essere assolutamente accettate. Si dice, dunque, che l’articolo 19 non sarebbe precettivo. L’onorevole Fanfani ha collaborato anch’egli, se non erro, alla redazione di questo articolo, giacché faceva parte della prima Sottocommissione. Esso reca: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la loro fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Con la scusa che questo articolo 19 non sarebbe precettivo, si sono indubbiamente compiute negli anni scorsi (e non so se si sia cambiato metodo negli ultimi due mesi: non potrei dirlo) delle azioni veramente riprovevoli. Potrei dire che, ad esempio, l’apertura dei templi e degli oratori protestanti è stata, sulla base di una disposizione fascista del 1929, sempre ostacolata. I protestanti fanno un ragionamento, che mi pare sia di buon senso. Essi dicono: tutti i cittadini italiani pagano le imposte per la costruzione di chiese cattoliche. Lo Stato ha approvato l’anno scorso una legge in proposito. Dal momento che la religione cattolica è la religione della maggioranza degli italiani, questa imposta la pagano anche i protestanti e gli ebrei.
Noi – essi dicono – non ci opponiamo, dato appunto che si tratta della religione professata dalla grande maggioranza degli italiani; ma, poiché paghiamo le imposte per l’apertura di chiese cattoliche, e nessuno si e mai sognato di chiedere il permesso per aprire tali chiese (ed è perfettamente giusto che sia così), perché anche a noi non viene concesso di aprire locali di culto, quando vogliamo e dove vogliamo? Se si trattasse del culto bramanista, potrei anche capire che potessero esservi dei timori.
Faralli. Non è affatto immorale il culto bramanista.
Preti. Non ho detto che sia immorale; ma ho menzionato il culto bramanista, poiché potrebbero venire a rappresentarlo in Italia anche persone non in grado di dare certe garanzie. E quindi si potrebbe spiegare la diffidenza del Governo. Ma qui si tratta del culto evangelico, di un culto quindi che si può mettere sullo stesso piano di quello cattolico.
Che dunque si cerchi ancora di impedire l’apertura di templi della religione evangelica è semplicemente, a mio avviso, inammissibile. Per quanto concerne poi la propaganda scritta, anche qui si cerca di impedire che i protestanti diffondano i loro manifesti e le loro pubblicazioni.
Una volta sono state sequestrate delle casse di Bibbie, e non so per quanto tempo sono rimaste ferme in un porto. E potrei citare molti esempi, se non temessi di tediare l’onorevole Fanfani e i colleghi. Per quanto concerne le conferenze religiose dei protestanti, anche qui continui contrasti e continui intralci. Per esempio, l’anno scorso a Padova accadde un fatto che destò un notevole scalpore.
Infine bisogna accennare, per quanto brevissimamente, alla setta dei pentecostali, setta la quale viene ancora perseguitata (questa sì, viene perseguitata) dal Ministero dell’interno, sulla base di una circolare del 1935 di Buffarini-Guidi, la quale affermava che questo culto religioso nuoceva all’integrità fisica e psichica della razza. Il termine «razza» è stato adesso cancellato dal vocabolario per ovvie ragioni; eppure, nonostante ciò, si è continuato a fare uso di questa vecchia circolare la quale, in sostanza, contrasta con la Costituzione. La Costituzione non ammette i culti che siano contrari al buon costume; ma l’integrità psichica e fisica della razza non ha niente a che fare col buoncostume. Si è tirata fuori la scusa che i pentecostali si esaltano, quando partecipano alle loro cerimonie religiose; ma, per quanto si possano esaltare, non credo che questa esaltazione possa portare ad inconvenienti così gravi, da preoccupare lo Stato italiano e da fargli addirittura violare la Costituzione!
Con la circolare che ho prima citato, del Ministero dell’interno, si afferma poi che l’articolo 17 non è applicabile alle riunioni religiose. Dice l’articolo 17: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».
Io penso che negare l’applicabilità dell’articolo 17 della Costituzione (che si applica anche ai partiti politici) alle confessioni religiose diverse dalla cattolica non significhi interpretare in maniera retta e con spirito liberale la Costituzione della Repubblica italiana. In questi ultimi anni sono stati vittime di queste vessazioni perfino i valdesi, i quali in passato erano stati sempre rispettati, anche perché, come tutti sanno, essi sono in Italia da parecchi secoli e non hanno mai dato fastidio a nessuno, dimostrandosi sempre degli ottimi cittadini prima dello Stato sabaudo, poi dello Stato italiano.
Tutti conoscono la Chiesa valdese, tutti sanno che la Chiesa valdese dà tutte le garanzie che si possono richiedere, dal punto di vista dell’ordine pubblico, del buoncostume e via dicendo.
Eppure anche le cerimonie della Chiesa valdese sono state disturbate. Non voglio più oltre attardarmi su questi argomenti. Vorrei solamente chiedere all’onorevole Fanfani di voler esaminare questo problema in maniera che, entro qualche mese, possa essere presentata al Parlamento quella legge che – secondo l’articolo 8 della Costituzione – è indispensabile. E non venga, poi, domani il Ministero dell’interno a dire che gli evangelici fanno delle difficoltà, che essi non si vogliono mettere d’accordo, che si intestardiscono su questioni formali. Io credo che, se il ministro dell’interno parlerà loro con molta franchezza e con molta sincerità, si riuscirà a risolvere il problema in sede ministeriale. Dopo di che, finalmente, avremo anche una legge per le confessioni religiose acattoliche; legge che darà modo a noi tutti di sentirci tranquilli per quanto concerne il rispetto delle minoranze religiose in Italia. Ripeto che io mi rendo conto della esiguità numerica di queste minoranze religiose; ma la questione di principio non deve assolutamente essere ignorata dai ministri dello Stato democratico. La repubblica democratica indubbiamente ha molti difetti, come è ovvio che accada di ogni regime. Vi sono però delle macchie che potrebbero essere facilmente cancellate senza spendere miliardi, ma dando solamente prova di una maggiore buona volontà. Ed io spero che il ministro dell’interno darà prova di questa buona volontà e risolverà finalmente questo annoso problema, facendo cessare subito le vessazioni, in ossequio allo spirito e alla lettera della Costituzione, e varando poi una legge veramente liberale. (Applausi)’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, pag. 341-345).
Termino, per farvi capire l’importanza che aveva questo uomo politico, con le parole del professore Angelo Scavone, docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Bologna: ”Luigi Preti non è stato soltanto uno degli esponenti di maggiore rilievo del partito socialdemocratico, che egli fondò aderendo alla storica scelta di campo di palazzo Barberini nel gennaio del 1947. Preti, come Saragat ed altri illustri padri costituenti è stato anche uno dei maggiori esponenti di una più vasta area politica e culturale che, benché poco coesa e rappresentativa soltanto di circa un quarto dell’elettorato italiano, ha sempre svolto un ruolo determinante nella difesa della democrazia costituzionale e nella promozione della modernizzazione economica e sociale dell’Italia. Si tratta di quell’area che, sinteticamente, può essere definita di “democrazia laica”, che, sin dalla fase costituente, ha accomunato i partiti socialdemocratico, liberale e repubblicano ed alla quale, dopo l’abbandono del frontismo e la svolta guidata da Bettino Craxi, può essere ricondotto anche il partito socialista italiano. Luigi Preti è stato uno dei più brillanti e moderni interpreti politici di questo importantissimo orientamento culturale della democrazia italiana’ (http://www.socialdemocraticieuropei.it/).
Giorgio Spini, amico della Massoneria Italiana, e il suo aiuto alle ADI nella stipulazione dell’Intesa con lo Stato
Giorgio Spini (1916-2006), il noto storico Metodista, è entrato nella storia delle ADI in quanto fu dalle ADI messo a capo della delegazione che doveva rappresentare le ADI nella Commissione di studio istituita nel 1985 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ‘per valutare le richieste delle Assemblee di Dio in Italia in vista della predisposizione del progetto di intesa’ (cfr. Francesco Toppi, E Mi Sarete Testimoni, pag. 148-149).
Giorgio Spini nacque a Firenze nel 1916. Negli anni della sua giovinezza, precisamente tra i sedici e i diciotto anni, fu influenzato notevolmente dalla lettura della Collana pubblicata dalla casa editrice Doxa, che era una piccola casa editrice fondata dal Battista massone Giuseppe Gangale dopo che il regime fascista gli aveva fatto chiudere nel 1927 la rivista Conscientia in quanto essa con il tempo era diventata una rivista politica che combatteva il fascismo. E così tra il 1927 e il 1933 la Doxa pubblicò una collana di Storia, religione, filosofia, per un totale di una trentina di titoli. Dice Spini: ‘…. Doxa arrivò a quel ragazzo che ero io allora e il ragazzo potè passare ore e ore febbrili a divorarsi tutti quei libri eccitanti, difficili, fuori dal comune …. Doxa fu per me l’irruzione di un fiotto di luce nel buio ….’ (Giorgio Spini, La strada della Liberazione, Claudiana Editrice, Terza Edizione, 2003, pag. 37, 38).
Il giovane Spini entrò a far parte di un gruppo di intellettuali protestanti di cui la guida era il teologo e pastore valdese Giovanni Miegge, seguaci della teologia della crisi di Karl Barth (1886- 1968) e ammiratori della lotta contro il nazismo portata avanti in Germania da Barth e dalla Chiesa confessante.
Laureatosi nel 1937 a 21 anni presso la facoltà di Lettere di Firenze, a 22 anni insegnava già come supplente presso un liceo classico di Firenze, e a 23 anni vinse il concorso nazionale per professore di scuole medie superiori. Nel 1939 ricoprì la sua prima cattedra presso l’Istituto magistrale di Pistoia.
Negli anni Trenta le organizzazioni protestanti giovanili, in particolare l’ACDG (Associazioni Cristiane dei Giovani), ossia l’YMCA italiana che come abbiamo visto aveva dei legami con la Massoneria, gli permisero di fare dei viaggi all’estero. Tra questi viaggi spicca quello che il giovane Spini fece in India dove fu mandato nel 1937 come rappresentante dell’ACDG italiane a partecipare al Congresso mondiale delle organizzazioni interconfessionali YMCA che si tenne a Mysore (cfr. Ibid., pag. 80).
Nel Giugno del 1941 fu chiamato a fare il servizio militare. In caserma ci restò circa un anno, dal giugno 1941 al giugno 1942, come soldato, caporale, allievo sergente e allievo ufficiale. Poi fu fatto sottotenente, e fu assegnato al VII Reggimento genio con sede principale a Firenze, e mandato a prendere servizio in un battaglione accantonato a Pescia (cfr. Ibid., pag. 91).
Nel 1942 Giorgio Spini aderì al Partito d’Azione. Racconta così la sua adesione: ‘… a mettermi in contatto ci pensò Giorgio Peyronel, che era pure militare in un reparto di artiglieria in partenza per la Corsica. Riuscì a farsi dare una licenza prima dell’imbarco, mi raggiunse e mi portò ‘L’Italia Libera’, uscito allora clandestinamente a Milano. «Ti vanno queste idee?» mi chiese quando ebbi scorso quel giornaletto. «Certamente» risposi. «Allora posso dire che stai anche tu con noi?». «Certamente». Fu così, molto per le spicce, che aderii anch’io al Partito d’Azione’ (Ibid., pag. 93).
Il Partito d’Azione era nato, o meglio rinato, nel Giugno del 1942, in quanto trasse il nome dall’omonimo partito fondato dal ‘massone’ Giuseppe Mazzini nel 1853 e sciolto nel 1867. Le sue radici affondano nel movimento clandestino antifascista di Giustizia e Libertà (1929-1940) e difatti tra i fondatori del Partito d’Azione ci furono diversi militanti del movimento Giustizia e Libertà, movimento che ebbe tra i suoi fondatori dei massoni, come dice lo storico Aldo Mola: ‘Tra i fondatori di Giustizia e Libertà, alcuni – e non dei meno fervidi, se non proprio dei più costanti, quali Cipriano Facchinetti e Raffaele Rossetti – erano massoni’ (Aldo Alessandro Mola, ‘La Massoneria e «Giustizia e Libertà», in AA.VV., Il Partito d’Azione dalle origini all’inizio della resistenza armata, Atti del Convegno [Bologna, 23-25 marzo 1984] promosso dalla F.I.A.P. e dall’Istituto di Studi Ugo La Malfa, Archivio trimestrale, 1985, pag. 313), per cui esisteva contiguità tra la Massoneria e quel Movimento, e difatti sempre Aldo Mola afferma: ‘…. anche il «mito» della contiguità fra la Libera Muratoria e il movimento che si dette per insegna l’emistichio del massone Giosuè Carducci, non fu del tutto campato in aria; esso, anzi ebbe un fondamento di verità, molto più corposo di quanto lascino intendere l’affiliazione massonica di un certo numero di fondatori di GL e la ripetuta convergenza sulle stesse trincee, per gli stessi ideali, contro gli stessi avversari’ (Ibid., pag. 316).
Il simbolo del Partito d’Azione: notate le due stelle a cinque punte
Il 25 Luglio 1943 cadde il regime fascista di Benito Mussolini. Giorgio Spini era in quei giorni ricoverato in ospedale militare per un principio di tubercolosi, e quando apprese dalla radio la notizia dice: ‘Allora un gruppetto di noi ricoverati scappò dalla gabbia e andò a far baccano per le strade, reclamando pace immediata con gli Alleati e guerra ai tedeschi’ (Giorgio Spini, op. cit., pag. 94).
A Mussolini, succedette il maresciallo Pietro Badoglio, che fu a capo di due governi, il primo durò dal 25 luglio 1943 al 17 aprile 1944, mentre il secondo dal 22 aprile all’8 giugno 1944.
La sera del 9 settembre 1943 – ossia il giorno dopo che la radio italiana divulgò il messaggio del maresciallo Badoglio nel quale il capo del governo comunicava che l’Italia aveva ‘chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate’ e che la richiesta era stata accolta, per cui nel giro di poche ore ciò si trasformò in una tragedia per centinaia di migliaia di soldati italiani abbandonati a se stessi – Giorgio Spini e altri con lui si riunirono nella casa di uno dei dirigenti del Partito d’Azione, un certo Mario Alberto Rollier (che era un professore di chimica di Milano che teneva stretti contatti con l’antifascista e massone Lelio Basso) dove presero la decisione di resistere con le armi ai tedeschi e ai fascisti.
Spini parla con entusiasmo di questa decisione di aderire al Partito d’Azione e alla lotta armata contro i fascisti: ‘Finalmente scoprivamo una posizione politica italiana che ci era possibile abbracciare in piena coerenza con la nostra fede cristiana e con il nostro retaggio specifico protestante! Per me almeno, ma credo anche per altri, fu con un senso di liberazione che facemmo quella scelta di campo politico. Ero un figlio del ghetto, vissuto nell’isolamento in cui dovevamo vivere per forza, noi evangelici, nell’Italia littoria e cattolica, assillati da un senso quasi tormentoso della nostra «alterità». Per la prima volta, potevo sentirmi simile ad altri miei connazionali. Il giorno in cui la scelta politica si tradusse in partecipazione alla lotta armata, quel senso di liberazione si accrebbe e – paradossalmente – divenne quasi gioioso. C’era da rischiare la pelle, è vero, ma si rischiava insieme al popolo, che adesso potevamo dire «nostro» senza riserva. Davanti a noi c’era la speranza – l’illusione, si vide poi, ma allora non lo sospettavamo – di un’Italia radicalmente rinnovata, e liberata dai suoi vizi secolari: un’Italia che avrebbe dovuto essere tutta diversa da quella di Mussolini, e per questo avviata a diventare parte di una Europa unita, libera e civile. A noi, proprio a noi che per tanto tempo avevamo brancolato nel buio fra le rovine, toccava la missione esaltante di lavorare e ricostruire in forme nuove la civiltà crollata un giorno sotto i colpi della barbarie. Non potevamo non sentirci trascinare da un’ondata di gioia, malgrado gli orrori che ci attorniavano da ogni parte’ (Ibid., pag. 97).
Queste parole di Spini fanno capire semplicemente una cosa, che non aveva capito proprio niente di cosa significa seguire e servire Cristo. Ma come si fa ad affermare di avere abbracciato il Partito d’Azione in piena coerenza con la fede cristiana, quando una simile decisione significava mettersi a fare qualcosa a cui noi Cristiani non siamo proprio chiamati? Ma di quale fede cristiana parla Spini? Di quella che si era fatto lui su misura, ovviamente, ma non di quella vera di cui parla la Scrittura. Addirittura lui dice che il giorno in cui la scelta politica si tradusse in partecipazione alla lotta armata, quel senso di liberazione si accrebbe e divenne quasi gioioso. Senso di liberazione? Ma liberazione da che? Ciance solo ciance, di qualcuno che non aveva proprio capito cosa significa seguire e servire Cristo. Decidere di partecipare alla lotta armata contro degli esseri umani significa andare ad uccidere o cercare di uccidere altri consimili, e quindi è qualcosa che un vero Cristiano ripugna con tutto se stesso per piacere al suo Signore e Salvatore. Io che ho fatto il servizio militare, in tempo di pace però a differenza di Spini, ma lo feci sbagliando perchè avrei dovuto scegliere il servizio civile, ma purtroppo a quel tempo non avevo ancora capito il male che c’era nel fare il servizio militare; io dico, posso testimoniare che man mano che passavano i giorni crebbe in me un senso di repulsione verso tutto quello che mi circondava, in particolare verso le armi, che detestavo solo vedere. E questo perchè mi resi sempre maggiormente conto di quanto fosse incompatibile il servizio militare con la mia fede in Cristo e la dottrina di Dio. Non vedevo l’ora che quel servizio militare finisse, e quando finì provai un enorme senso di liberazione, perchè per me era stato un peso enorme da portare. Ecco perchè nel leggere le suddette parole di Spini non ho potuto non indignarmi. E’ vero che poi a Spini gli sarà affidato un servizio di Intelligence e non di combattente, ma quando lui prese quella decisione pensava proprio ad andare a fare un servizio di combattente!
Peraltro, anche se svolse un servizio di intelligence, Spini fu diverse volte vicino alla morte, o come dice lui ‘era capitato qualche volta di sentirmi passare il soffio della morte vicino’ (Ibid., pag. 220). E racconta diversi episodi a tale riguardo che fanno capire chiaramente che l’Iddio vivente e vero volle preservarlo dalla morte. A cosa attribuisce lui l’essere scampato alla morte? Alla fortuna, infatti afferma: ‘Potrei raccontare anche altri episodi ma bastan questi per dire che ho avuto sempre una sfacciatissima fortuna’ (Ibid., pag. 222). Paiono le parole di un ateo queste, non di un Cristiano che vive in comunione con Dio e che sa discernere la sua voce e la sua opera. Ma così ragionava e parlava Giorgio Spini.
Durante la guerra, vista la sua conoscenza dell’inglese fu mandato a Bari, all’ufficio stampa del Comando Supremo. Là conobbe due ufficiali scozzesi che avevano il compito di gestire Radio Bari e di controllare l’ufficio stampa del Comando Supremo. Questi due scozzesi trasformarono Radio Bari ‘nella voce dell’Italia antifascista dei CLN’, e tra coloro che furono fatti parlare alla radio ci fu anche Giorgio Spini, sotto falso nome però, cioè con il nome di Valdo Gigli. Dopo un pò di tempo, però, dietro richiesta di Spini, egli fu mandato al fronte dell’VIII Armata con una unità delle loro forze speciali, denominata PWB Combat Team.
Nell’estate del 1944, un reparto di indiani dell’VIII Armata britannica trovò nel castello di Montegufoni in un salone seminterrato tanti quadri antichi. Per capire qualcosa di quei quadri vecchi, fu chiamato Giorgio Spini, che accertò essere dei quadri di grandissimo valore, in quanto appartenevano a Paolo Uccello, Giotto, e Botticelli, e così Spini li fece mettere in salvo. Di Botticelli c’era la Primavera, e a tale riguardo Spini nel ricordare i suoi pensieri che aveva trascritto su un taccuino afferma: ‘Ero stanco, stanco da morire: ma non solo per via delle notti con poco sonno sulla nuda terra e delle giornate con troppe fatiche. Ero stanco di tante distruzioni, tanti morti, tanta bestialità insensata. Ma nella testa intorpidita dalla stanchezza tornava ad affacciarsi quella figura stupenda, intravista a Montegufoni: la Primavera del Botticelli. E un altro pensiero mi si affacciava nella mente: se è vero, come dicono, che la patria è ciò per cui vale la pena morire, allora la mia patria è la Primavera’ (Ibid., pag. 155-156).
Vale la pena morire per la patria? Morire per una tela del Botticelli? Ma queste non sono parole di un Cristiano, perchè un vero Cristiano afferma che vale la pena morire per Cristo (e quindi per la causa del Vangelo, che è quella di portare il Vangelo agli uomini affinché siano salvati dal peccato e dalla perdizione eterna) e per i suoi eletti (ossia per fare loro il bene ordinato da Dio), e certamente nè per la patria terrena, cioè per liberare un popolo dal dominio di un altro popolo o da un despota, e men che meno per un quadro del Botticelli. Ma questo era Giorgio Spini.
L’11 Aprile del 1945 – poco prima che finissero le operazioni militari in Italia quindi – sposò Annetta Petrucci.
Finita la guerra, intraprese una prestigiosa carriera universitaria che lo porterà a insegnare nelle Università di Messina e Firenze e, negli Stati Uniti, ad Harvard, alla University of Wisconsin e alla University of California – Berkeley nonché a diventare presidente dell’Istituto Socialista di Studi Storici e condirettore della ‘Rivista Storica Italiana’.
Spini si è occupato di storia europea e nordamericana del Seicento, in particolare delle correnti spirituali religiose e antireligiose, della storia cinquecentesca del principato mediceo e di Firenze dopo l’Unità d’Italia nonché dei rapporti tra il Risorgimento italiano e i movimenti protestanti europei e statunitensi senza tralasciare le origini del socialismo.
Ecco alcune delle sue opere più conosciute: Autobiografia della giovane America (1968), Storia dell’età moderna (1990), Risorgimento e protestanti (1989), Italia liberale e protestanti (2002), e Italia di Mussolini e Protestanti (2006).
Metodista, fu membro della Tavola Valdese – l’esecutivo della Chiesa Valdese e Metodista – e si adoperò in favore della cosiddetta libertà religiosa. Ha lavorato al Patto di integrazione tra la Chiesa Metodista e Valdese (1979) nonché alle trattative per l’Intesa tra la Chiesa Valdese e la Repubblica italiana (1984), come anche alle trattative per l’Intesa tra le Assemblee di Dio in Italia e lo Stato (1988). Tra i molti riconoscimenti, nel 2000 ricevette dal Presidente Ciampi (che lui peraltro aveva conosciuto durante la guerra quando Ciampi era un giovane ufficiale, e che secondo Licio Gelli ‘era massone, faceva parte – quando era giovane – della loggia Hermes di Livorno, una loggia del Grande Oriente. Questo è stato detto anche da tanti «fratelli»’ [Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, pag. 140]) l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e nel 2004 il Sindaco di Firenze gli conferì la massima onorificenza cittadina, ossia il ‘Fiorino d’Oro’.
Giorgio Spini stimava e appoggiava la Massoneria, infatti nel corso di un convegno della Massoneria tenutosi a Firenze nel 2005 (in occasione del bicentenario della Loggia Massonica Grande Oriente d’Italia) spese delle belle parole sulla Massoneria.
Sulla rivista Erasmo, rivista ufficiale del Grande Oriente d’Italia, in merito alla partecipazione di Spini a quel convegno massonico [1], leggiamo infatti quanto segue:
‘Significativo l’intervento fuori programma del grande storico Giorgio Spini che ha dichiarato di aver particolarmente gradito l’invito a partecipare al convegno in virtù della sua ultradecennale attività a sostegno dell’importanza storica della Libera Muratoria. Atteggiamento, questo, da lui definito degno di nota perché espressione di un non massone. Lo studioso, appartenente alla Chiesa Evangelica Valdese, ha dichiarato al pubblico di ritenere opportuno l’accostamento dei termini “Massoneria” ed “Evangelismo”. “Esiste, in merito, – ha detto – tutta una corrente operativa e culturale. Consentitemi di ricordare il nome di Petroni, massone e di confessione evangelica, che fu martire delle galere pontificie”. “Grande importanza deve essere poi attribuita – ha aggiunto – alla Massoneria dell’esilio con la linea di continuità massonica rappresentata dai nostri esuli che mantennero, contro la tirannide, un’opposizione di elevata spiritualità e coerenza, carattere peculiare, nei secoli, del massonismo universale. Fra i tanti vorrei ricordare Francesco Fausto Nitti, antifascista e massone”. A questo proposito Spini ha ricordato il recente convegno realizzato a Genova su “Gli evangelisti e la Resistenza” in cui il figlio di Nitti, Joseph, ha tenuto una relazione sulle attività politiche del padre che fu compagno di fuga dei fratelli Rosselli da Lipari e comandante di un’unità operativa repubblicana nella guerra civile spagnola. “Sottolineo – ha concluso Spini – che benché le Logge, ahimè, cessassero la loro attività in Italia durante gli anni della dittatura, dolorosi per tutti, vi fu all’estero un’attività di altissimo valore politico e morale”. Il Gran Maestro Gustavo Raffi ha ringraziato calorosamente lo storico per il suo intervento ricordando, nelle sue conclusioni, il sacrificio di tanti massoni che, negli anni bui della dittatura, si impegnarono, in nome degli ideali liberomuratori, all’affermazione della democrazia e delle libertà’ (Erasmo, Anno VI – Numero 20, 30 Novembre 2005, pag. 2).
L’articolo apparso su ‘Erasmo’ in cui viene citato l’intervento di Giorgio Spini al convegno per il bicentenario del GOI
[1] Nel suo intervento in quel Convegno, Giorgio Spini debuttò così: ‘E’ con non finta commozione che ho accettato questo invito di recare un brevissimo messaggio di simpatia e di solidarietà ….’. Per chi vuole ascoltare l’intervento di Giorgio Spini vada qua www.bicentenario-goi.it/firenze_audio.htm
D’altronde, alcuni anni prima, Giorgio Spini aveva scritto nel suo libro Italia Liberale e protestanti delle parole di elogio sul massonevangelismo: ‘Il massonevangelismo, favorendo la marcia dell’Italia evangelica verso il liberalismo teologico degli Harnack, dei Troeltsch, dei Sabatier, ebbe un’influenza positiva nel breve periodo’ (Giorgio Spini, Italia liberale e protestanti, pag. 227). Con il termine ‘Massonevangelismo’ si intende quella doppia militanza, in una Chiesa evangelica e nella massoneria, che ha caratterizzato così tanti personaggi di primo piano delle Chiese Protestanti in Italia.
Le sconcertanti parole di Giorgio Spini a favore della Massoneria, tratte dal suo libro Italia Liberale e Protestanti (pag. 226-227).
Giorgio Spini è morto il 14 gennaio 2006, e i funerali si sono svolti due giorni dopo nel luogo di culto della Chiesa Valdese di Firenze. Ai funerali di Giorgio Spini tra i tanti presenti c’era il Gran Maestro Aggiunto Massimo Bianchi in rappresentanza del Gran Maestro Gustavo Raffi e dei Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia, un alto esponente della Massoneria Italiana quindi.
Inoltre in un articolo apparso su Erasmo, la Massoneria Italiana rese omaggio a Giorgio Spini in questa maniera: ‘FIRENZE – Il Grande Oriente rende omaggio a Giorgio Spini. I funerali di Giorgio Spini, grande storico sui cui testi si sono formate generazioni di studenti e, al contempo combattente per la libertà negli anni bui della dittatura, si sono svolti il 16 gennaio a Firenze, nella Chiesa Valdese. Professore emerito all’Università di Firenze, ha insegnato in numerose università americane, fra le quali Harvard. Il Maestro ci ha onorato, partecipando attivamente al convegno fiorentino del 12 novembre, organizzato nell’ambito delle celebrazioni del bicentenario del Grande Oriente d’Italia. In quello che ha rappresentato uno dei suoi ultimi interventi, Giorgio Spini svolse una relazione sul ruolo storico della massoneria italiana. “Grande importanza deve essere attribuita alla massoneria dell’esilio – fu uno dei passaggi del suo discorso – con la linea di continuità massonica rappresentata dai nostri esuli che mantennero, contro la tirannide, un’opposizione di elevata spiritualità e coerenza, carattere peculiare, nei secoli, del massonismo universale”. Numerosissime le autorità presenti ai suoi funerali, ai quali ha partecipato il Gran Maestro Aggiunto Massimo Bianchi in rappresentanza del Gran Maestro Gustavo Raffi e dei Liberi Muratori del Grande Oriente d’Italia’. (Erasmo, numero 1-2 / 2006, pag. 7 – www.grandeoriente.it/).
Il Grande Oriente d’Italia omaggia Giorgio Spini
Naturalmente ai funerali di Giorgio Spini non poteva mancare anche un rappresentante delle ADI – visto l’aiuto dato da Spini alla stipulazione dell’Intesa tra lo Stato e le ADI – e difatti era presente Francesco Toppi. Sul NEV leggiamo infatti:
‘Si sono svolti, nella chiesa valdese di Firenze, i funerali dello storico Giorgio Spini. ‘Ha dato a noi, protestanti italiani, la nostra identità”, ha detto il Presidente della FCEI. L’ultimo saluto a Giorgio Spini si è svolto in una chiesa gremita. Lunedì 16 gennaio alle ore 15, la chiesa valdese di via Micheli a Firenze conteneva a malapena le persone accorse da tutta la penisola per celebrare i funerali di uno dei massimi storici del Novecento. Giorgio Spini, metodista, studioso di fama internazionale, si è spento sabato 14 gennaio all’età di 89 anni, dopo una vita dedicata alla storia, all’impegno politico e alla fede evangelica. La predicazione era affidata al pastore Massimo Aquilante, presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI); nel corso del culto sono intervenuti anche la pastora Maria Bonafede, moderatore della Tavola valdese; il presidente delle Assemblee di Dio (ADI), il pastore Francesco Toppi; il collega ed amico Sandro Rogari, preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze; e il sindaco di Firenze Leonardo Dominici. “Il cuore di Spini, profondo conoscitore della grande cultura anglosassone e quindi fatalmente protestante, pendeva verso la Rivoluzione del 1688. Grazie a lui è stato messo in rilevo il nesso tra la cultura liberale e il protestantesimo” ha ricordato il pastore Giorgio Bouchard, già moderatore della Tavola valdese, intervenuto anch’egli in occasione dei funerali. E ancora: “Non solo, ma è stato mediatore della cultura anglosassone verso l’Italia. Grazie a lui abbiamo scoperto che l’800 italiano è stato un ‘secolo protestante'”. Nel corso dei funerali, il figlio dello storico scomparso, l’onorevole Valdo Spini, ha letto un messaggio di cordoglio del presidente Ciampi. Gianni Long, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), nel messaggio di cordoglio inviato alla famiglia Spini, ha voluto ricordare il ruolo svolto dallo storico nella nascita della FCEI: “Giorgio Spini è stato presidente del secondo Congresso evangelico italiano tenutosi nel 1965, da cui è poi nata la Federazione delle chiese evangeliche, due anni dopo”. Inoltre il presidente Long ha dichiarato: “Come storico Giorgio Spini è stato colui che – grazie ai numerosi libri scritti sul rapporto tra protestanti e l’Italia dal Risorgimento al ‘900 – ci ha dato la nostra identità, inserendo le piccole storie delle singole chiese nel quadro complessivo della storia nazionale. E non possiamo dimenticarci neanche come Spini, all’età di 70 anni, quando era un personaggio già famoso, aveva deciso di diventare predicatore locale, dimostrando uno spirito di servizio verso la propria comunità. Giorgio Spini è stato anche un ponte verso tutto l’evangelismo italiano, facendo fra l’altro parte delle commissioni che hanno trattato le Intese con lo Stato; non solo della propria chiesa, quella valdese e metodista, ma anche di altre chiese evangeliche. Egli ha inoltre sempre dimostrato particolare attenzione verso la realtà pentecostale’ (NEV del 18 gennaio 2006 – www.chiesavaldese.org/).
Poi Francesco Toppi lo ha omaggiato in un articolo dal titolo ‘Una duplice perdita’ apparso su Risveglio Pentecostale del Marzo 2006.
‘Giorgio Spini, invece, aveva un carattere affabile, era aperto, disponibile alla conversazione, non metteva mai alcuno in soggezione, eppure era uno dei più illustri storici italiani. Sui suoi libri di storia ha studiato un’intera generazione di studenti. Famoso nel mondo intellettuale internazionale, professore di Storia dell’Europa Occidentale alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze, ha insegnato in diverse Università italiane e negli Stati Uniti (Harvard, Wisconsin, Berkely). Mai disposto a nascondere la propria fede evangelica, aveva chiesto di essere accettato quale “predicatore locale” della Chiesa Metodista alla quale apparteneva fin dalla fanciullezza. Chi scrive lo incontrò per la prima volta nel 1965, in occasione del Secondo Congresso Evangelico Italiano, del quale era stato nominato presidente. Memorabile, in quella occasione, la sua appassionata conferenza sulla libertà religiosa in Italia, in particolare riguardante i pentecostali, quando, con pochi autorevolissimi tratti propri di un’oratoria affascinante, descrisse le vicissitudini della “battaglia condotta fuori dal ghetto, nel paese, con la coscienza di lottare non già per un privilegio particolare, ma per la libertà di tutti gli italiani”, dando ampio riconoscimento a Giorgio Peyrot, “anima delle battaglie per la libertà religiosa in Italia”. Sorse allora una fraterna amicizia, durata quarant’anni, tra lui, il più noto storico italiano, e chi scrive, giovane predicatore pentecostale. I suoi interventi autorevoli si erano manifestati fin dal 1950 con scritti che rivelavano le ingiustizie e le persecuzioni contro i pentecostali. Significativo fu l’intervento di Spini nel 1953 a favore della comunità ADI di Messina alla quale era stato impedito il culto. Con un tempestivo intervento, fece fare un’interrogazione alla Camera dei Deputati riguardante il caso, che fu immediatamente risolto. Nel 1959, le ADI ottennero, infine, il riconoscimento giuridico e la libertà di manifestare apertamente la propria fede. Nel 1985 il Governo richiese di nominare una Commissione di studio per l’attuazione delle intese, in ottemperanza dell’Articolo 8, terzo comma della Costituzione. Il Consiglio Generale delle Chiese, su mandato dell’Assemblea Generale, chiese fraternamente al professor Giorgio Spini di fungere da capo della delegazione, composta anche dal professor Sergio Bianconi, noto giurista valdese, dal dottor Giuseppe Di Masa, membro della chiesa ADI di Roma e da chi scrive. I lavori iniziarono il 18 giugno 1985 e si conclusero con il testo definitivo dell’Intesa, il 27 ottobre 1986. Ancora una volta Giorgio Spini svolse il suo incarico con grande competenza ricevendo il rispetto e l’ammirazione di tutti i membri della Commissione, quasi tutti autorevoli professori di diritto ecclesiastico in varie università italiane. Tutto si svolse in un’atmosfera di grande cordialità. È da ricordare come egli ripetutamente non abbia mancato di testimoniare della propria fede evangelica e ripetutamente suggeriva a chi scrive: “Testimonia dell’Evangelo perché questi non ne sanno nulla, sono completamente a digiuno del messaggio della salvezza”. Famoso nell’ambito culturale di mezzo mondo, non nascose mai la semplice fede evangelica che professava e non si vergognò mai di unirsi ai più poveri e semplici credenti. Ripetutamente ha visitato la nostra comunità di Roma, partecipando con la predicazione arricchita dalla sua oratoria affascinante e comprensibile. In questi ultimi anni ha partecipato spesso ai culti nella comunità ADI di Firenze, dove talvolta ha predicato. Aveva scelto come suo accompagnatore un suo giovane studente, membro di quella chiesa. In una delle sue ultime visite a Roma, nel 2004, è stato ospite per qualche ora dell’Istituto Biblico Italiano. In quell’occasione ha esortato gli studenti a rimanere saldi nell’Evangelo, unica fonte di vera libertà. Fino all’ultimo vigile e lucido ha continuato a tenere contatti con i suoi amici fraterni. Il Signore lo ha richiamato a Sé, a noi lascia il ricordo di un deciso combattente per la fede e per la giustizia che è stato un’ispirazione per quanti lo hanno conosciuto, stimato ed amato. Con lui il mondo evangelico italiano ha perduto un testimone e un difensore. In particolare siamo grati a Dio per la sua testimonianza di fede, lealtà e disponibilità totale per la causa dell’Evangelo in Italia. Alla dolce consorte, ai figli ed in particolare a Valdo, il quale sta seguendo le orme paterne e continua ad essere un fraterno amico delle ADI, giungano, a nome del Consiglio Generale delle Chiese, i sentimenti più profondi di solidarietà ed affetto, con l’assicurazione delle nostre preghiere. Questi due eccezionali credenti, risoluti testimoni dell’Evangelo in Italia, non sono più con noi, ma ci hanno lasciato un’eredità di libertà e di fede. Dio ci aiuti, come parte di una minoranza significativa della società italiana, a valutare e a riconoscere il Mandato che Egli ci ha affidato di tenere alto il nome, la fede e l’etica e dell’Evangelo. Francesco Toppi’ (www.assembleedidio.org
Le Assemblee di Dio in Italia omaggiano Giorgio Spini
Come ho innanzi detto, al funerale di Giorgio Spini, la presenza dell’allora Presidente delle ADI Francesco Toppi si spiega con il fatto che Giorgio Spini ebbe un ruolo (di primo piano) nella stipulazione dell’Intesa tra lo Stato e le ADI. Vediamo di spiegarlo meglio.
Nel giugno 1984, in occasione del Convegno Pastorale delle ADI venne indetta una sessione straordinaria dell’Assemblea Generale per discutere e approvare la documentazione (Carmine Lamanna definisce improbo il lavoro che fu fatto per la preparazione della documentazione, e Toppi gli fa eco definendolo ‘gravoso ed arduo’) da presentare al Governo Italiano in vista dell’intesa con lo Stato. All’unanimità furono ratificati gli argomenti da inserire nell’intesa e la stesura globale dei ‘Lineamenti dottrinali’ delle ADI. Il 23 luglio di quello stesso anno venne inoltrata formale richiesta al Governo. La Presidenza del Consiglio dei ministri allora costituì una Commissione di studio per valutare le richieste delle ADI in vista della predisposizione del progetto di intesa e chiese che venissero indicati quattro esperti per rappresentare le ADI nella Commissione stessa. I quattro esperti, designati dal Consiglio Generale delle Chiese ADI, furono il professore Giorgio Spini, il professore Sergio Bianconi (evangelici che avevano fatto parte della precedente commissione per l’intesa con la Tavola Valdese), il dottore Giuseppe Di Masa quale consulente legale delle ADI, e poi il Presidente delle ADI. I lavori della commissione iniziarono nel giugno del 1985, e si conclusero nell’ottobre del 1986. Nell’ottobre del 1986 venne siglato il testo definitivo dell’intesa dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e dal presidente delle ADI. L’intesa fu poi firmata il 29 dicembre del 1986. Nel novembre del 1988 poi, lo Stato Italiano – sulla base dell’intesa tra Stato e ADI stipulata nel dicembre del 1986 e firmata dall’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal Presidente ADI Francesco Toppi – promulgò la legge che regola i rapporti tra lo Stato e le ADI.
Ora, Francesco Toppi si fregia di essere stato amico di Giorgio Spini, e si compiace del fatto che Giorgio Spini abbia predicato non solo in seno alla Chiesa ADI di Roma ma anche in quella di Firenze.
Qualcuno domanderà: ‘Come è stato possibile che una persona come Giorgio Spini, che simpatizzava per la Massoneria – che è una religione diabolica il cui fine è l’annientamento del Cristianesimo – e che possiamo tranquillamente chiamare un ‘massone senza grembiule’ perchè condivideva gli ideali della Massoneria, è stato tra gli intimi amici dell’allora presidente ADI Francesco Toppi e ha avuto accesso in seno al popolo di Dio, e gli è stato dato persino il pulpito in alcune occasioni?’ Rispondo che ciò non deve per nulla meravigliare, visto che nel secondo dopoguerra per ottenere la cosiddetta libertà religiosa le ADI si erano rivolte persino a dei massoni e in mezzo a loro si insinuò un massone del calibro di Frank B. Gigliotti, un ‘pastore’ protestante che era anche un agente della CIA e colluso con la mafia, che poteva permettersi di imporre alla Massoneria Italiana le condizioni che voleva in cambio del riconoscimento della Massoneria USA. Per le ADI, all’occorrenza ci si può quindi anche mettere con massoni con o senza il grembiule, se questo porta un vantaggio all’organizzazione.
I massoni nel governo Craxi, sotto il quale venne conclusa l’intesa tra Stato e ADI
Come abbiamo visto prima, i lavori della commissione per l’intesa Stato-ADI iniziarono nel giugno del 1985, e si conclusero nell’ottobre del 1986, quando venne siglato il testo definitivo dell’intesa Stato-ADI dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e dal presidente delle ADI. L’intesa fu poi firmata il 29 dicembre del 1986. Al governo allora c’era Bettino Craxi, segretario del partito socialista (partito che secondo Gioele Magaldi era ‘a grande densità massonica’ – Intervista di Akio Fujiwara a Gioele Magaldi per il quotidiano giapponese Mainichi Shimbun presente sul sito http://www.grandeoriente-democratico.com/). Ricordiamo a tale proposito che ci furono 2 governi capeggiati da Craxi: il Governo Craxi I rimase in carica dal 4 agosto 1983 al 1º agosto 1986, mentre il Governo Craxi II rimase in carica dal 1º agosto 1986 al 17 aprile 1987.
Ora, nel governo Craxi sotto il quale fu raggiunta l’intesa tra Stato e le ADI c’erano dei massoni. Eccoli, ma tenete a mente che possono essercene stati altri.
Valerio Zanone, Ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato nel II Governo Craxi, era ‘massone affiliato alla Loggia Minerva di Torino’ (Mario Guarino e Fedora Raugei, Gli anni del disonore, pag. 243); Lelio Lagorio, Ministro del Turismo e Spettacolo nel I Governo Craxi, contro il quale ha formulato una accusa ‘Alberto Cecchi, ex-vicepresidente della Commissione d’Inchiesta sulla P2, secondo la quale l’ex ministro Lagorio e’ stato affiliato ”all’orecchio” dal Gran Maestro Lino Salvini’ (http://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1993/10/15/Politica/MASSONERIA-LAGORIO-SMENTISCE-LESPRESSO_162900.php).
Inoltre, tra i sottosegretari al Ministero dell’Interno nel I e II Governo Craxi, c’era Raffaele Costa, che in un articolo apparso su La Repubblica viene detto essere un massone: ‘Il nome di Raffaele Costa, candidato per il Polo a sindaco di Torino, è citato per 45 volte nelle agende di Mino Pecorelli, il giornalista assassinato a Roma nel ’79. Non solo. Secondo l’ex senatore comunista Sergio Flamigni, ex membro della Commissione parlamentare d’ inchiesta sulla loggia P2, l’ ex ministro compare anche nell’ elenco dei massoni ‘all’ orecchio’, cioè segreti e noti soltanto al gran maestro. E’ stato lo stesso senatore, intervenuto ieri a Torino ad un’ iniziativa di personalità ed associazioni democratiche ed antifasciste (era presente Alessandro Galante Garrone che ha affermato che quelle di Flamigni sono ‘verità inoppugnabili, verità storiche’), a chiedere pubblicamente che il candidato sindaco spieghi e chiarisca i suoi rapporti con Pecorelli e gli ambienti piduisti ……’ (‘Massone e amico di Pecorelli’, in La Repubblica, 09 maggio 1997, pagina 12 – consultabile nell’archivio on line del giornale).
Gianni De Michelis invece, che era Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel I e II Governo Craxi, pur non essendo massone, aveva ed ha rispetto per la Massoneria, infatti nella prefazione al libro di Mauro Cascio Storia (Apologetica) della Massoneria dice: ‘Sono convinto che questo lavoro di Mauro Cascio, il quale mostra una significativa capacità di investigazione e di analisi delle fonti, oltre ad una valida conoscenza delle vicende storiche più importanti della Massoneria, sia un buon testo per farsi un’idea “realistica” di questa Istituzione; non sorretta, in altre parole, dalle ali di un’idealità, spesso riduttiva quanto fantasiosa e irriverente che, lungi dall’aiutare a comprendere – e a stabilire un rispettoso confronto con essa – è stata e può essere causa di precipitose e fuorvianti fughe in avanti, piuttosto che consentire una valutazione di regole e comportamenti che hanno un proprio codice di lettura e di comprensione, e che come tali vanno considerate. Chi, come me, ha, per principio irrinunciabile – etico oltreché politico – il rispetto senza condizioni dell’ “altro” e crede, fermamente e indiscutibilmente, nella necessità che questa differenza vada non solo rispettata ma aiutata ad esprimersi, non può che rinnovare anche in questa circostanza – di fronte ad un libro così particolare – l’auspicio – che è esigenza civile e morale a un tempo – che tale orientamento faccia sempre più proseliti nell’opinione pubblica. Questo obiettivo, credo, rappresenti un punto fermo non solo per la salvaguardia, legittima e indiscutibile, dei valori e delle regole su cui la Massoneria fonda la propria esistenza, ma, più in generale, per la difesa di un mondo in cui la libertà, la scelta di un’idea e di un cammino di vita, siano fruibili senza limiti e condizionamenti di alcun genere’ (dalla prefazione di Gianni De Michelis).
Queste cose, fratelli, hanno la loro importanza, visti i rapporti avuti nel dopoguerra dalle ADI con un massone del calibro di Frank Gigliotti, perchè da allora tramite Gigliotti le ADI hanno cominciato ad avere l’appoggio della Massoneria Italiana.
Dal mio libro ‘La Massoneria smascherata’ (pag. 574-604)