Spiriti maligni a casa Wesley!

Sì, proprio così, a casa dei genitori di John Wesley (Epworth, 28 giugno 1703 – Londra, 2 marzo 1791), il predicatore inglese fondatore del Metodismo (che era massone), c’erano spiriti maligni che si manifestavano in svariate maniere. E la cosa è ben documentata, tanto che negli ambienti spiritisti quello che avvenne a casa dei genitori di John Wesley è molto conosciuto. Io non ne sapevo nulla fino a questa mattina, quando ho scoperto la cosa, e confesso che i fatti raccontati sono veramente inquietanti. Fatti naturalmente che portano a riflettere molto sulla famiglia di questo predicatore e su lui stesso.

Ecco quanto si legge nel libro «Passi sui confini di un altro mondo» (Footfalls on the Boundary of Another World), di Robert Dale Owen, che è l’opera più importante scritta sui fenomeni paranormali nel primo periodo dello spiritismo (uscita negli Stati Uniti nel 1860 e a Londra nel 1861, vale a dire circa una dozzina d’anni dopo i famosi fenomeni di Hydesville, che diedero origine al movimento, ebbe subito quella vasta diffusione che ottenevano allora i libri di questo genere nel mondo anglosassone, infatti ebbe dieci edizioni americane in un anno).

Giacinto Butindaro

LA RELAZIONE DI WESLEY

Disturbi nella parrocchia del signor Wesley a Epworth. 1716 e 1717.

Nell’anno 1716, il rev. Samuel Wesley, padre del celebre John Wesley, fondatore del metodismo, era rettore a Epworth, nella contea di Lincoln in Inghilterra. Nella sua parrocchia, la stessa in cui nacque John, avvennero nei mesi di dicembre 1716 e gennaio 1717, parecchi disturbi dei quali il signor Samuel Wesley tenne un diario particolareggiato. Questi particolari furono inoltre conservati in dodici lettere scritte su quell’argomento, in quello stesso periodo, da vari membri della famiglia.

Inoltre il signor John Wesley stesso venne a Epworth nell’anno 1720, fece un’accurata inchiesta sui fatti, ricevette dichiarazioni scritte da ognuno dei membri della famiglia su quello che avevano visto e udito e, su queste basi compilò una narrazione da lui pubblicata sull’Arminian Magazine. I documenti originali vennero custoditi dalla famiglia, caddero nelle mani della signora Earle, nuora del signor Samuel Wesley (il fratello maggiore di John) furono da lei affidati a un certo signor Babcock, e da lui consegnati al noto dott. Joseph Priestley da cui il tutto fu pubblicato la prima volta nel 1791 [181]. E’ stato ripubblicato dal dott. Adam Clarke nei suoi Memoirs of the Wesley Family [182].

Comprendono quarantasei pagine di quest’opera, e, poiché contengono numerose ripetizioni, mi limito a trascriverli solo in parte cominciando dalla narrazione tratta da John Wesley, che ho già menzionato.

NARRAZIONE

«E’ il dicembre 1716, mentre Robert Brown, domestico di mio padre se ne stava con una delle domestiche, un poco prima delle dieci di sera, nella sala da pranzo che dava sul giardino, entrambi udirono bussare alla porta. Robert si alzò e aprì, ma non vide alcuno. Subito vi fu un altro colpo e un lamento. “E’ il signor Turpin”, disse Robert. “Ha il mal della pietra e si lamenta così”. Aprì ancora la porta due o tre volte perché due o tre volte si ripeté il battito; ma, poiché non vedevano alcuno ed erano un po’ impauriti, si alzarono e andarono a letto. Quando Robert giunse in cima alle scale dell’abbaino, vide un macinino a breve distanza, che girava molto in fretta. Quando riferì la cosa disse: “Mi è dispiaciuto solo che fosse vuoto. Se fosse stato pieno di malto, avrebbe macinato per me”. Quando fu a letto udì come il gloglottare di un tacchino lì presso, e subito dopo il rumore di qualcuno che inciampasse nelle sue scarpe e nei suoi stivali; ma non erano lì: li aveva lasciati a basso. Il giorno dopo, lui e la domestica riferirono la cosa all’altra domestica, che rise di cuore dicendo: “Che pazzi che siete! Sfido qualsiasi cosa a spaventarmi”. Verso sera, dopo aver fatto il burro, lo mise su di un vassoio e lo aveva appena portato nella dispensa quando udì un colpo sullo scaffale su cui erano alcuni stampi per il burro, dapprima sopra lo scaffale, poi sotto. Prese una candela, guardò sopra e sotto, ma, non trovando nulla, lasciò cadere il burro, il vassoio e tutto e se la diede a gambe.

Il pomeriggio seguente, fra le cinque e le sei, mia sorella Molly, che allora aveva circa vent’anni, mentre stava leggendo nella stanza da pranzo, ebbe l’impressione che si aprisse la porta che dava nel vestibolo ed entrasse una persona che sembrava avere una vestaglia di seta che frusciava strascicando a terra. Parve camminarle attorno, poi andare alla porta, poi ancora attorno; ma lei non poté vedere nulla. Penso: “Scappare non serve a niente perché, chiunque sia, può correre più in fretta di me”. Così si alzò, mise il libro sotto il braccio e si allontanò lentamente. Dopo cena era in camera con mia sorella Sukey (che aveva circa un anno più di lei) e le raccontò quello che era avvenuto. L’altra non la prese sul serio e disse: “Mi meraviglio che ti spaventi così facilmente: io vorrei proprio vedere quello che può spaventarmi”. Subito si udì un colpo sotto il tavolo. Lei prese una candela e guardò, ma non trovò nulla. Poi il telaio di ferro della finestra cominciò a far fracasso e così pure il coperchio di uno scaldaletto. Infine il saliscendi della porta si mosse in su e in giù ripetutamente. Lei balzò su, salto nel letto senza spogliarsi, si tirò le coperte sopra la testa e non si

arrischiò a sporgere il naso fino al mattino.

«Una o due notti dopo, mia sorella Hetty (di un anno più giovane di Molly) aspettava, come al solito, fra le nove e le dieci, di portar via la candela dalla stanza di mio padre, quando udì qualcuno scendere dalle scale dell’abbaino, camminarle lentamente accanto, poi scendere la scala principale e poi risalire per la scala sul retro e la scala dell’abbaino. E a ogni passo sembrava che la casa tremasse da capo a fondo. Proprio in quel momento mio padre batté. Lei entrò, prese la candela e andò a letto il più presto possibile. Il mattino lo racconto alla mia sorella maggiore, la quale rispose: “Tu sai che non credo a queste cose; lascia che vada io a prendere la candela, stasera, e scoprirò l’imbroglio”. La sera, dunque, ella prese il posto di Hetty, e aveva appena portato via la candela quando udì un rumore al piano di sotto. Scese in fretta le scale fino al vestibolo, donde proveniva il rumore, ma allora lo udì in cucina. Corse in cucina, dove c’era un tambureggiare dietro il paravento, vi andò e il tambureggiare passo dall’altro lato e così via, sempre dal lato opposto a quello in cui ella si trovava. Poi udì battere dietro la porta della cucina. Vi accorse, abbassò piano il chiavistello e, quando il battito si ripeté, aprì d’improvviso, ma non vide niente. Appena ebbe richiuso la porta, il battito riprese. Apri ancora e non vi era nulla.

Quando volle richiudere la porta, questa fu violentemente spinta contro di lei, ma lei vi si appoggiò col ginocchio e con la spalla, riuscì a richiuderla e girò la chiave. Allora il battito riprese, ma lei lo lasciò continuare e andò a letto. Tuttavia da quella sera ella fu completamente persuasa che nel fenomeno non vi erano imposture. «Il mattino seguente, quando mia sorella raccontò a mia madre quello che era avvenuto, questa disse: “Se udrò io stessa qualche cosa, saprò come giudicare”. Subito dopo la pregò di venire nella stanza dei bambini. Lei vi andò e udì in un angolo della stanza come il violento oscillare di una culla; ma lì non vi erano culle da parecchi anni. Si convinse che era un fatto soprannaturale e si affrettò a pregare di non esserne disturbata nella sua camera durante le ore di riposo; ed in realtà non lo fu mai. Poi ella pensò che era opportuno parlarne a mio padre. Ma egli si arrabbiò molto e disse: “Sukey, mi vergogno di te. Questi ragazzi si fanno paura a vicenda; ma tu sei una donna di buon senso e dovresti essere più saggia”. «Alle sei di sera, mio padre diresse come sempre la preghiera familiare.

Quando cominciò la preghiera per il re, si udirono colpi per tutta la stanza, e un colpo tonante accompagnò l’Amen. Da allora lo stesso fenomeno si ripeté ogni mattina e ogni sera quando veniva

recitata la preghiera per il re. Poiché mio padre e mia madre sono ora nella pace eterna e non possono soffrire per questo, credo mio dovere fornire al lettore serio la chiave di questa circostanza. «L’anno prima che morisse il re Guglielmo, mio padre notò che mia madre non diceva amen alla preghiera per il re. Ella gli spiegò di non poterlo fare perché non credeva che il Principe d’Orange fosse re. Lui giurò che non avrebbe mai più coabitato con lei finché non lo avesse fatto. Salì a cavallo e se ne andò; né ella ebbe notizie di lui per dodici mesi. Infine tornò e visse con lei come prima. Ma temo che il suo giuramento non fosse stato dimenticato dinanzi a Dio.

«Essendomi stato detto che il signor Hoole, vicario di Haxey (uomo molto pio e sensibile), avrebbe potuto darmi qualche ulteriore informazione, mi recai da lui. Egli mi disse: “Robert Brown venne da me per dirmi che vostro padre desiderava la mia compagnia. Quando vi andai, egli mi riferì tutto quello che era avvenuto, in particolare i colpi durante la preghiera familiare. Ma quella sera, con mia grande soddisfazione, non vi fu alcun colpo. Fra le nove e le dieci venne una domestica dicendo: – Il vecchio Jeffrey sta arrivando (era questo il nome di un tale che era morto nella casa), perché sento il segnale. – Mi informarono che questo segnale veniva udito ogni sera verso le dieci meno un quarto. Si produceva sopra la casa, all’esterno, simile a un forte stridere di sega o meglio a quello di un mulino quando viene girato per volgere le vele al vento.

Poi udimmo un colpo sopra le nostre teste; e il signor Wesley, presa una candela, disse: – Venite, signore, adesso udrete voi stesso. – Salimmo al piano di sopra; lui con molta speranza e io (per dire la verità) con molta paura. Quando giungemmo nella camera dei bambini, vi furono dei colpi nella stanza accanto; quando andammo là i colpi si fecero udire nella stanza dei bambini. E lì si continuò a battere, anche quando vi fummo entrati, specialmente alla testa del letto (che era di legno) in cui erano coricate la signorina Hetty e due delle sue sorelle più giovani. Il signor Wesley, notando che erano molto spaventate – sudate e tremanti sebbene addormentate – perse la calma e, tratta una pistola, stava per sparare sul punto da cui proveniva il rumore. Ma io lo afferrai per un braccio e dissi: – Signore, voi siete convinto che è qualche cosa di soprannaturale. Se è così non potete colpirlo, ma gli date il potere di colpire voi. – Egli allora si avvicinò a quel punto e disse severamente: – Demone sordo e muto, perché spaventi queste ragazze che non possono risponderti?

Vieni da me, nel mio studio, che sono un uomo! – Immediatamente fu battuto un colpo (il particolare colpo che il signor Wesley soleva battere alla porta) come se si volesse mandare il legno in pezzi; e per quella notte non udimmo altro”.

«Fino a quel momento mio padre non aveva mai udito il minimo disturbo nel suo studio. Ma la sera dopo, mentre si preparava ad andarvi (lui solo ne aveva la chiave), appena aperta la porta fu spinto indietro con tale violenza che per poco non cadde a terra. Tuttavia riuscì ad aprire la porta ed entrò. Subito vi furono colpi, dapprima su di un lato, poi sull’altro, e, dopo qualche tempo, nella stanza adiacente, in cui era mia sorella Nancy. Egli entrò in quella stanza e, continuando il rumore, lo scongiurò di parlare, ma invano. Allora disse: “Questi spiriti amano l’oscurità; porta via la candela e forse parlerà”. Lei obbedì ed egli ripeté lo scongiuro; ma vi furono solo dei colpi senza alcun suono articolato. Disse ancora: “Nancy, due cristiani sono troppi per il diavolo. Andate tutti da basso; forse, quando sarò solo, avrà il coraggio di parlare”. Quando lei fu uscita gli passo per la testa un’idea, e disse: “Se sei lo spirito di mio figlio Samuel, ti prego di battere tre colpi e non più”.

Immediatamente vi fu silenzio e per quella notte non si udì più alcun colpo.

Chiesi a mia sorella Nancy (che aveva allora quindici anni) se non si era spaventata quando mio padre aveva pronunciato il suo scongiuro. Mi rispose che aveva avuto molta paura che lo spirito parlasse quando aveva portato via la candela; ma che non era affatto spaventata di giorno, quando le camminava accanto, e, quando era intenta a qualche lavoro, pensava che avrebbe potuto farlo lui per lei risparmiandole la fatica.

«In quel tempo le mie sorelle si abituarono tanto a quei rumori da averne ben poco disturbo.

Generalmente, fra le nove e le dieci di sera, cominciava un leggero battito sulla testa del loro letto. E loro si dicevano in genere: “Sta arrivando Jeffrey; è ora di andare a dormire”. E, se udivano un rumore durante il giorno e dicevano alla mia sorella più giovane: “Su, Ketty, Jeffrey batte al piano di sopra”, lei correva su per le scale e lo inseguiva di stanza in stanza dicendo che era il suo miglior divertimento. «Poche notti dopo, mio padre e mia madre erano appena andati a letto e la candela non era stata ancora portata via, quando udirono tre colpi, e poi altri tre e ancora tre, come se provenissero da un grosso bastone battuto sopra una cassa che era a fianco del letto. Mio padre si alzo subito, si infilò una vestaglia e, udendo un gran fracasso al piano di sotto, prese la candela e scese; mia madre lo seguì.

Quando ebbero sceso la scala principale, udirono come se fosse stato versato sul petto di mia madre un vaso pieno di argenteria, la quale cadesse tintinnando ai suoi piedi. Subito dopo ci fu un rumore come se una grande campana di ferro fosse stata scagliata contro parecchie bottiglie che erano nel sottoscala; ma nulla fu colpito. Poi arrivò il nostro grosso mastino e corse a rifugiarsi fra le bottiglie. Durante i disturbi era solito abbaiare e saltare e azzannare qua e là, spesso prima ancora che si udisse qualche rumore. Ma dopo due o tre giorni si limitò a tremare e a sgattaiolare via prima che i rumori cominciassero. Da questi segnali la famiglia capiva che il fenomeno era imminente, e non si sbagliava mai.

«Un poco prima che mio padre e mia madre entrassero nel vestibolo, ebbero l’impressione che un gran pezzo di carbone fosse violentemente lanciato contro il pavimento e andasse in frammenti; ma non videro nulla. Mio padre allora gridò: “Sukey, non senti? Tutti i peltri della cucina sono stati gettati a terra”. Ma, quando andarono a vedere, i peltri erano al loro posto. Poi vi fu un forte colpo alla porta sul retro. Mio padre l’apri e, anche questa volta, fu una fatica inutile. Dopo avere aperto più volte ora l’una ora l’altra, si voltò e tornò a letto. Ma i rumori erano così violenti per tutta la casa, che non poté chiudere occhio fino alle quattro del mattino. «Parecchi signori ed ecclesiastici consigliarono vivamente mio padre di lasciare la casa. Ma egli rispose sempre: “No, il diavolo deve fuggire da me, io non fuggirò mai dal diavolo”. Ma scrisse al mio fratello maggiore, a Londra, di venire. Questi stava preparandosi a farlo quando una seconda lettera lo avvertì che i disturbi erano finiti, dopo essere continuati (negli ultimi tempi giorno e notte) dal 2 dicembre alla fine di gennaio» [183].

Il diario del signor Wesley senior (pag. 247) conferma pienamente la narrazione di suo figlio, aggiungendo alcuni particolari. Egli ci fa sapere che il 23 dicembre, nella stanza dei bambini, quando sua figlia Emily batté un colpo, lo spirito le rispose. In un’altra occasione scrive: «Scesi le scale e battei col bastone contro i travicelli della cucina. Lui mi rispose altrettante volte e con la stessa intensità dei miei colpi. Allora battei come faccio abitualmente alla porta: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7; ma questo lo mise in imbarazzo e non diede risposta, o non con lo stesso sistema, sebbene le ragazze lo udissero fare esattamente la stessa cosa due o tre volte in seguito». Questo corrisponde a quanto disse il signor Holle relativamente al «suo battere gli stessi colpi del signor Wesley».

Il 25 dicembre egli scrive: «I rumori erano così violenti che era inutile pensar di dormire mentre continuavano». E così pure il 27 dicembre aggiunge: «Erano così numerosi che non volli lasciare la famiglia, come desideravo fare, per visitare un amico, il signor Downs». Dice anche: «Sono stato spinto per tre volte da un potere invisibile: una contro l’angolo della scrivania nel mio studio, una seconda volta contro la porta della stanza con le stuoie, e una terza volta contro il lato destro del telaio della porta del mio studio, mentre entravo». Quanto al cane, in data 25 dicembre riferisce: «Il nostro mastino venne uggiolando verso di noi, come faceva sempre dopo la prima notte dei fenomeni; perché allora latrò a essi furiosamente, ma poi rimase in silenzio e parve più spaventato dei ragazzi».

Le lettere che confermano i vari particolari sono troppo lunghe e numerose per essere trascritte.

Ne tolgo un esempio da una scritta da Emily Wesley (poi signora Harper) al fratello Samuel. Ella dice: «Ti ringrazio della tua ultima lettera e ti dirò tutto quello che posso circa quanto è avvenuto nella nostra famiglia. Sono così poco superstiziosa da sentirmi anche troppo incline allo scetticismo; così che mi rallegro di cuore di avere avuto l’opportunità di convincermi, senza dubbi né scrupoli, dell’esistenza di alcuni esseri oltre quelli che vediamo. Un intero mese fu sufficiente per convincere tutti della realtà della cosa e per tentare di scoprire qualsiasi trucco se fosse stato possibile metterlo in opera. Io ti dirò solo quello che ho udito io stessa e lascerò il resto agli altri.

«Mia sorella ha udito rumori nella camera dei documenti e me ne ha parlato; ma io non vi ho dato molto credito fino a una notte, circa una settimana dopo che furono uditi i primi lamenti che segnarono l’inizio della vicenda. Avevo appena salito la scala principale quando udii un rumore come se qualcuno scagliasse a terra un gran pezzo di carbone nel mezzo dell’avancucina, e tutte le schegge parvero volare attorno. Non ne fui molto spaventata, ma andai da mia sorella Sukey, e insieme facemmo il giro delle stanze del terreno; tutto era in ordine.

«Il cane era addormentato e così pure il gatto all’altro capo della casa. Non appena fui risalita, mentre stavo spogliandomi per andare a letto, udii un rumore fra le numerose bottiglie che sono sotto la scala principale, come se fosse caduta fra di esse una grossa pietra e le avesse mandate tutte in pezzi. Questo mi spinse a coricarmi al più presto. Ma mia sorella Hetty, che aspetta sempre che nostro padre vada a letto per portar via la candela, era ancora seduta sull’ultimo gradino della scala dell’abbaino, con la porta chiusa alle sue spalle, quando, subito dopo, scese le scale, dietro di lei, qualche cosa come un uomo in un’ampia vestaglia, che la fece volare, più che correre, da me nella stanza dei bambini.

«Fin allora non avevamo parlato a nostro padre della cosa; ma adesso ci affrettammo a farlo.

Sorrise e non ci diede risposta, ma da allora si preoccupo più del solito di vederci tutte a letto, immaginandosi che una di noi ragazze rimanesse alzata più a lungo e provocasse i rumori. La sua incredulità, e specialmente la sua tendenza a imputare il fenomeno a noi o ai nostri innamorati, mi fece desiderare, lo confesso, che continuasse fino a che non ne fosse convinto. Quanto a mia madre era fermamente persuasa che fossero topi e mandò a cercare un corno per cacciali via. Io risi all’idea di quanto fosse saggio cercar di far paura a Jeffrey (io lo chiamo così) soffiando in un corno.

«Ma, chiunque fosse, mi accorsi che doveva essersi arrabbiato perché da quel momento divenne così importuno che, dopo le dieci di sera, non c’è stata più pace. Spesso fra le dieci e le undici udivo qualche cosa come il rapido girare di un girarrosto all’angolo della stanza presso la testa del mio letto, proprio come il muoversi delle ruote e il cigolare del meccanismo. Era il solito segnale del suo avvicinarsi. Poi si batteva tre volte sul pavimento, seguivano dei colpi alla testa del letto di mia sorella nella stessa stanza, quasi sempre tre di seguito, e poi basta. I suoni erano sordi e forti, tali che nessuno di noi avrebbe potuto imitarli.

«Rispondevano a mia madre se batteva sul pavimento e chiedeva risposta. Udivo colpi, proprio dietro di me, quando mettevo i bambini a letto. Una volta la piccola Ketty, volendo spaventare Molly, mentre stavo spogliandole, batté a terra col piede; e immediatamente vi furono tre colpi in risposta nello stesso punto. Erano molto più forti e violenti di quello che avrebbero potuto fare dei topi o qualsiasi altra causa naturale. «Potrei dirti molto di più, ma il resto verrà scritto e quindi sarebbe inutile. Non fui molto spaventata all’inizio e molto poco da ultimo; ma non lo ho mai sentito molto vicino eccetto due o tre volte, né mi ha mai seguito come ha fatto con mia sorella Hetty. Ero con lei quando i colpi sono stati battuti sotto i suoi piedi; e, quando lei si è spostata, i colpi l’hanno seguita sempre battendo sotto i suoi piedi, cosa che sarebbe bastata ad atterrire una persona molto più forte» (pagg. 270-72).

Sotto la data 19 gennaio 1717, il signor Samuel Wesley Junior scrisse alla madre facendole alcune domande alle quali ella rispose in modo esauriente aggiungendo: «Ma, d’altra parte, desidero che le mie risposte non soddisfino altri che te, perché non vorrei che la cosa si diffondesse». Da un memorandum del signor John Wesley, che esponeva «le circostanze generali di cui la maggior parte della famiglia, se non tutti, furono spesso testimoni», traggo quanto segue: «Prima che lo spirito entrasse in una stanza, i saliscendi venivano spesso alzati, le finestre risuonavano e tutto ciò che di ferro o di ottone era nella stanza squillava e vibrava rumorosamente. «Quando era in una stanza, per quanto rumore si facesse, come talvolta si faceva appositamente, le sue cupe e sorde note si udivano chiaramente al di sopra del fracasso.

«Il suono molto spesso sembrava essere nell’aria, al centro della stanza; e non poteva essere fatto dai presenti, con nessun mezzo. «Non veniva mai di giorno finché mia madre ordinava di suonare il corno. Dopo di che difficilmente si poteva passare da una stanza all’altra perché il saliscendi delle stanze in cui si voleva entrare veniva alzato prima che si potesse toccarlo. «Non entrò mai nello studio di mio padre finché egli non gli parlò aspramente chiamandolo diavolo sordo e muto e non gli comandò di smettere di perseguitare degli innocenti fanciulli e di venire da lui, nel suo studio, se aveva qualche cosa da dirgli. «Dopo che mia madre lo ebbe pregato di non disturbarla dalle cinque alle sei, non fu mai udito nella sua camera dalle cinque a quando scendeva a basso, né in altri momenti quando lei si dedicava alla preghiera» (pagg. 284- 85).

Rimane da dire che almeno un membro della famiglia, Emily Wesley, di cui abbiamo già citato un brano di lettera, credette di essere stata seguita dallo spirito di Epworth per tutta la vita. Il dott. Clarke afferma di possedere una lettera originale di questa signora a suo fratello John, in data 16 febbraio 1750 – ossia trentaquattro anni dopo i precedenti eventi – di cui pubblica il seguente estratto: «Desidero molto vederti e parlare alcune ore con te come nel passato. Tu sostieni, insieme a molti altri, la dottrina che nessuna felicità può essere trovata nelle cose del mondo: poiché ho sedici anni di esperienza che lo contraddicono nettamente, vorrei parlarne con te. Un altro soggetto è quella meraviglia che chiamavamo Jeffrey. Non ridere di me considerandomi superstiziosa se ti dico che, con certezza, qualche cosa viene da me per prepararmi contro qualche noia imprevista; ma sappiamo così poco del mondo invisibile che, io almeno, non so giudicare se si tratta di uno spirito amico o malefico».

Quanto alle cause di questi disturbi, il dott. Clarke scrive: «Per un tempo considerevole tutta la famiglia credette a una frode; ma alla fine tutti si convinsero che era qualche cosa di soprannaturale»…«Il signor John Wesley credeva che fosse un messaggero di Satana mandato a perseguitare suo padre per il suo temerario giuramento di lasciare la famiglia e il suo ingiusto comportamento verso la moglie in conseguenza del suo scrupolo di pregare per il Principe di Orange come re d’Inghilterra»… «Altri considerarono la casa infestata»… «Il dott. Priestley pensa che tutto sia stato frode e impostura. Così deve essere nel suo sistema materialista; ma questo non risolve le difficoltà; taglia semplicemente il nodo»… «L’opinione della signora Wesley era diversa da quella di tutti gli altri e, probabilmente, era la più giusta: ella supponeva che questi rumori e disturbi annunciavano la morte di suo fratello, allora in servizio Presso la Compagnia delle Indie Orientali. Questo signore, che aveva accumulato una grande fortuna, disparve improvvisamente e più nulla si seppe di lui, almeno per quanto ho potuto sapere dai sopravviventi rami della famiglia o dai documenti di essa» (pagg. 287-89).

Questi disturbi, sebbene non così persistenti come quelli di Tedworth, durarono per due interi mesi, tempo sufficiente, sembrerebbe, perché una famiglia di così forte carattere e coraggiosa quali erano i Wesley, potesse scoprire una qualsiasi impostura. E, a meno che non sospettiamo in Emily Wesley una superstizione che le sue lettere sono lungi dall’indicare, fenomeni di un carattere in qualche modo simile la accompagnarono per tutta la vita. «Il dott. Priestley, con tutte le sue inclinazioni allo scetticismo, parlando della narrazione di Epworth è propenso ad ammettere «che è forse la meglio autenticata e la meglio riferita storia del genere che vi sia».184 Tuttavia entra in discussione per provare che non può esservi in essa nulla di soprannaturale, e la principale ragione che ne dà è che non ne derivava nulla di buono. La sua conclusione è: «Ciò che appare più probabile a questa distanza di tempo, nel presente caso: è che fosse una frode dei domestici, aiutati da qualche vicino, e che non si mirasse ad altro che a mettere in imbarazzo la famiglia e a divertirsi»; supposizione questa che Clarke respinge. Egli dice esplicitamente: «I resoconti dati di questi disturbi sono così particolareggiati e autentici da renderli degni del maggior credito. I testimoni oculari e auricolari erano persone di buona intelligenza e cultura, non intinte di superstizione e in certi casi piuttosto inclini allo scetticismo». E aggiunse: «Nulla di apparentemente soprannaturale può essere più lontano dal margine dell’impostura di questi racconti, e le minute constatazioni in essi contenute ci costringono a convincerci della loro verità anche se increduli» [185].

Southey, nella sua Life of Wesley (Vita di Wesley) dà il resoconto di questi disturbi, e così li commenta: «Uno scrittore che, in quest’epoca, riferisce una simile storia e non la considera del tutto

incredibile e assurda, deve aspettarsi di essere messo in ridicolo; ma le testimonianze su cui essa è fondata sono troppo forti per poterla mettere da parte a causa della sua stranezza»… «Queste cose possono essere soprannaturali e tuttavia non miracolose; possono non essere nel corso ordinario della natura e tuttavia non implicare alterazioni delle sue leggi. E relativamente al buon fine a cui si può supporre che rispondano, sarebbe un fine sufficiente se qualche volta uno di quegli infelici che, guardando attraverso il vetro affumicato dello scetticismo, non vedono niente oltre la vita e l’angusta sfera dell’esistenza mortale, fosse, dalla ben stabilita realtà di una storia simile (per quanto frivola e inutile come può altrimenti apparire) condotto alla conclusione che vi sono più cose in cielo e in terra di quelle sognate dalla sua filosofia».

L’opinione di Coleridge era molto diversa. Nella sua copia dell’opera di Southey, che lasciò a Southey stesso, scrisse la seguente nota contro la storia dei disturbi di Wesley: «Tutte queste storie, e potrei presentarne almeno una cinquantina non meno bene autenticate e, per quanto riguarda la sincerità dei narratori e il singolo fatto di avere essi visto o udito tali fatti o suoni, al di sopra di ogni razionale scetticismo, sono simili l’una all’altra come i sintomi della stessa malattia in pazienti diversi. E questa, in realtà, credo che sia la verità e l’unica soluzione: una malattia nervosa contagiosa, la cui forma più intensa è la catalessi. S.T.C.» [186].

E’ uno strano argomento contro la credibilità di questi racconti quello che siano numerosi e che concordino tutti nei caratteri generali. Né è meno notevole il modo sbrigativo con cui il poeta raggiunge la spiegazione dei fenomeni. Egli ammette che Wesley e la sua famiglia videro e udirono quello che affermano di avere visto e udito; ma erano tutti catalettici. Come? Anche il mastino? Non è tuttavia mia intenzione commentare qui queste diverse opinioni, ma solo sottometterle al lettore.

Tutte provengono da uomini di notevole intelligenza e reputazione. Trascuro varie relazioni di disturbi simili a quelli citati, riferiti come avvenuti in Inghilterra e altrove nel diciottesimo secolo, sia perché i loro particolari sono di poco diversi da quello che si uova nei precedenti, sia perché, dato che nessuno di essi è garantito da nomi del peso di quelli che attestano gli esempi presentati, non saranno certo accettati se gli altri vengono respinti.

Alcuni di essi sono riferiti da giornali del tempo: per esempio uno recentemente riesumato dalle colonne del New York Packet, apparso il 10 marzo 1789. Sotto forma di comunicazione al direttore, datata Fishkill, 3 marzo 1789, il corrispondente dice: «Se dovessi riferire tutte le straordinarie, ma non per questo men vere, relazioni che ho udito relativamente a quella disgraziata ragazza di New Havensack, forse la vostra fiducia ne sarebbe scossa e la vostra pazienza stancata. Mi limito dunque a informarvi solo di quello di cui sono stato testimone oculare. Un pomeriggio mia moglie e io andammo dal dott. Thorn; e, dopo avere conversato per qualche tempo, udimmo un colpo sotto i piedi di una giovane che vive nella famiglia. Io chiesi al dottore che cosa lo avesse provocato. Lui non me lo poté dire, ma rispose che, insieme con parecchi altri, aveva esaminato la casa senza riuscire a scoprirne la causa. Io allora presi una candela e andai in cantina con la ragazza. I colpi continuarono anche lì: ma, mentre salivamo le scale per tornare, udii degli strani picchi da ogni parte, che mi fecero molta impressione. Rimasi fermo per qualche tempo guardandomi attorno stupito, quando vidi del ciarpame che era in cima alle scale agitarsi sensibilmente. Otto o dieci giorni dopo, visitammo ancora la ragazza. I colpi continuavano, ma erano più forti.

La nostra curiosità ci spinse a farle una terza visita, quando i fenomeni divennero ancora più impressionanti. Vidi allora delle sedie muoversi; una grande tavola da pranzo fu spinta contro di me; e un piccolo sostegno su cui era una candela fu lanciato in grembo a mia moglie. Dopo di che lasciammo la casa, molto sorpresi di quello che avevamo visto».

Altri casi furono pubblicati in opuscoli a loro tempo, come i disturbi in casa della signora Golding e altrove a Stockwell, avvenuti il 6 e 7 gennaio 1772, caratterizzati soprattutto dal muoversi e dalla distruzione di mobilio in varie case, ma sempre in presenza della signora Golding e dalla sua domestica. L’opuscolo è stato ristampato in una pubblicazione moderna [187].

Questo caso, tuttavia, con vari altri, compreso quello della «fanciulla elettrica» riferito da Arago, sembra appartenere a una classe diversa da quella di cui sto parlando; perché in esso l’agente occulto sembra collegato a persone e non ha manifestato intelligenza.

Altri due esempi di data un poco più recente, e nei quali i disturbi sembrano in parte di carattere locale e in parte di carattere personale, si troveranno nella rivista di cui John Wesley fu per vari anni direttore. Probabilmente sono stati scritti da lui [188].

Note:

180 – Sadducismus Triumphatus, pagg. 334-36.

181 – Original Letters by the Rev. John Wesley and his Friends, illustrative of his Early History (Lettere originali del rev. John Wesley e dei suoi amici, che illustrano la sua prima storia) con altri curiosi documenti comunicati dal defunto rev. S. Babcock. A esse è premesso un discorso ai Metodisti di John Priestley, dottore in legge, membro della Royal Society ecc., Londra 1791: volume in ottavo di 170 pagine. L’opuscolo è raro.

182 – Memoirs of the Wesley Family raccolti principalmente da documenti originali, di Adam Clarke, seconda edizione Londra 1843.

183 – Memoirs of the Wesley Family, vol. I, pagg. 253-60.

184 – Opuscolo del dott. Priestley già citato, Prefazione, pag. XI.

185 – Memoirs of the Wesley Family, vol. I pagg. 245-46.

186 – The Asylum Journal of Mental Science (pubblicato da un’associazione di medici ufficiali degli Asili e degli Ospedali per i folli), Aprile 1858, Londra, pag. 395.

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